Il Mondo che Cambia
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Le auto hanno cambiato la nostra società?

Viaggio nei cambiamenti della società attraverso l’auto

Giovani, selvaggi e liberi: erano gli hippies, che durante gli anni ‘70 si avventurano negli hippie trail attraversando l’Europa e l’Asia Meridionale, in viaggi in autobus e in autostop in cui i mezzi di trasporto diventavano veri e propri luoghi in cui conoscersi e condividere esperienza.

Una macchina veloce, l’orizzonte lontano e una donna da raggiungere alla fine della strada. Non è uno slogan ma l’inciso più celebre del quarto romanzo di Jack Kerouac, On the road, manifesto letterario della Beat generation. Il romanzo si pone a metà strada tra la finzione e l’autobiografia, e si sostanzia in una sorta di “diario di bordo” relativo a tre viaggi che i due protagonisti, Sal Paradise (alter ego dello stesso Kerouac) e Dean Moriarty (pseudonimo di un altro scrittore americano, Neal Cassidy) compiono attraverso gli Stati Uniti e il Messico all’insegna di eccessi e musica jazz.

Il libro di Kerouac ha contribuito a creare una vera e propria mitologia della “vita di strada” e a sublimare un immaginario, quello del “car trip”, che negli anni successivi conoscerà particolare fortuna.

Diversamente dall’America della beat generation, l'Italia era un paese decisamente più ingenuo che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, stava dando il via a un ambizioso processo di ricostruzione.

Dal “Miracolo economico” scaturì un netto miglioramento del tenore di vita del ceto medio italiano. Gli elettrodomestici, fino a pochi anni prima classificati come beni di lusso, cominciarono a diffondersi nelle case delle famiglie monoreddito e, col tempo, acquistare un’auto a rate divenne la normalità.

Auto prodotte all'anno

In un decennio la produzione di automobili incrementò del 189%

L’industria automobilistica conobbe un’espansione eccezionale: le auto prodotte in Italia passarono da quasi 600mila esemplari nel 1960 a quasi due milioni a fine decennio, con una crescita del 189%. Man mano che il ricordo della guerra sbiadiva, gli italiani cominciavano a disporre di tempo e risorse da dedicare a sé stessi.

A cambiare fu soprattutto il modo di concepire la vacanza: in particolare, la “gita al mare” finì col costituire un’opportunità di riscatto sociale per un gran numero di famiglie italiane. A cavallo tra gli anni ’50 e ’60, la vacanza (o meglio, la “villeggiatura”) diventò un vero e proprio diritto: l’articolo 36 della Costituzione («Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi») veniva ripetuto come un mantra e impugnato fieramente dinanzi ai propri datori di lavoro. Il tempo libero stava diventando una cosa seria.

A bordo di utilitarie sprovviste di aria condizionata, centinaia di famiglie italiane imboccavano le nuovissime autostrade e partivano alla volta delle “spiagge libere”, con gli abitacoli stracolmi di cestini carichi di vivande da consumare una volta giunti a destinazione. Solitamente, per evitare la calura estiva e le code interminabili, si partiva di notte.

Anche il cinema fu testimone di questo mutamento di paradigma: a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, il film “turistico-balneare” si impose come sottogenere della commedia all’italiana.
La diffusione di pellicole come Tempo di villeggiatura, Vacanze a Ischia, Avventura a Capri, Tipi da spiaggia e Racconti d’estate impreziosirono ulteriormente il mito della “villeggiatura all’italiana”, trasformando i viaggi in macchina interminabili, il tettuccio carico di bagagli, i costumi ascellari, i panieri traboccanti di cibo e le code ai caselli come veri e propri archetipi del faire des vacances all’italiana.

Se vista attraverso le lenti odierne, questo tipo di esperienza di viaggio fa sicuramente sorridere: sembra il retaggio di un passato lontanissimo, la reliquia di un’epoca preistorica. Eppure, in quegli anni, la vacanza era qualcosa di più di un semplice svago: era l’espressione di un Paese che, uscito dalle macerie della ricostruzione post-bellica, rivendicava finalmente il diritto di avere del tempo da vivere col sorriso, oltre la fatica e il dolore dei decenni passati.

Anni '70

Giovani, selvaggi e liberi: erano gli hippies, che durante gli anni ‘70 si avventurano negli hippie trail attraversando l’Europa e l’Asia Meridionale, in viaggi in autobus e in autostop in cui i mezzi di trasporto diventavano veri e propri luoghi in cui conoscersi e condividere esperienza.


Il 1° agosto del 1981, un minuto dopo la mezzanotte, ha inizio una vera e propria rivoluzione: una nuova emittente televisiva, MTV, inaugura le proprie trasmissioni con un videoclip destinato a fare epoca.

L’audiovisivo sta per prendere il largo: è il canto del cigno di un’epoca musicale, quella delle icone “faceless” della radio, conosciute unicamente per la loro voce, destinate a scomparire per cedere il testimone alla dittatura dell’immagine televisiva. Il messaggio è chiaro: è tempo di farsi vedere, di alzare l’asticella e, perché no, di esagerare.

Negli anni Ottanta questo desiderio frenetico di notorietà non ha risparmiato nessuno, neppure le automobili. È la golden age delle super-car: velocissime, estreme e inaccessibili. Attraverso lungimiranti operazioni di product placement, le supersportive cominciano ad apparire sul grande e piccolo schermo.

Dalla Ferrari 308 GTS di Magnum P.I. alla Ford Gran Torino di Starsky e Hutch, passando per i primi videogiochi a tema sviluppati per Commodore 64 e Amiga 500, 5th Gear su tutti, le super-car diventano l’oggetto del desiderio per antonomasia. Nelle camere dei teenager, le gigantografie delle icone sportive cedono la scena a enormi poster raffiguranti Maserati, Lamborghini, Porsche, BMW e Lotus. Le automobili conquistano l’immaginario popolare e diventano celebrità.

Nel 1979, due anni prima, sulla CBS va in onda la prima puntata di The Dukes of Hazzard, incentrata sulle rocambolesche avventure dei cugini Bo, Luke e Daisy, Hazzard è, probabilmente, la serie TV più rappresentativa del decennio. Il problema è che Bo, Luke e Daisy non se li ricorda più nessuno.
Tutti, invece, hanno ben presente la vera protagonista della serie: il Generale Lee, una Dodge Charger arancione del 1969.

Tre anni dopo, un giovanissimo David Hasselhoff sale a bordo di K.I.T.T., protagonista di Supercar, una Pontiac Firebird Trans Am del 1982, dotata di un computer di bordo che le permette di provare emozioni e, soprattutto, di parlare grazie ad un sintetizzatore vocale.
Con K.I.T.T. e il Generale Lee, le automobili vengono umanizzate ed entrano a pieno titolo nello star-system: hanno nomi propri, prime pagine sui giornali e un seguito di fan affezionati pronti a tutto per scattare una foto nel loro abitacolo.

Per la classe media, gli anni Ottanta sono invece quelli delle “scatole”: spartane, essenziali ed economiche. E, nel 1980, la “scatola magica” la produce la Fiat: si chiama come il mammifero simbolo del WWF ed è prodotta dell’ingegno di un titano come Giorgetto Giugiaro. Viene presentata in anteprima al Presidente della Repubblica Sandro Pertini, al Quirinale: è la Fiat Panda, la grande utilitaria degli gli anni '80, la risposta ad una nuova presa di coscienza automobilistica. Una macchina che serve davvero: facile da parcheggiare, contenuta nei costi.

Oggi le definiamo “bare su quattro ruote” ma, al tempo, furono il vero simbolo di una decade irripetibile, iniziata con un “oh-a-oh” (quello dei Buggles) e conclusa con la caduta di un muro.

Negli anni duemila avviene una vera e propria rivoluzione delle macchine.
Sono ecologiche, con l’affermarsi delle auto elettriche.
Sono sicure, con i sistemi di guida assistita.
Sono proiettate verso il futuro, con forme che strizzano l’occhio alla fantascienza


Gli anni Novanta si aprono con una sorta di terrificante quesito di fondo: il genere umano ha dato davvero tutto ciò che poteva in termini di progresso sociale, economico e politico?

No. Infatti gli anni Novanta si presentano subito come un decennio di innovazione. Sono gli anni del passaggio dall’analogico al digitale, degli sms, degli squilli, dei Cranberries, del nucleo embrionale di quella “Generazione Erasmus” che, finalmente, ha l'opportunità di studiare all'estero, di viaggiare in un'Europa unita non più divisa da un muro.

In Italia, gli anni Novanta segnano anche quelli in cui avrebbe potuto avere inizio una vera e propria rivoluzione copernicana del settore automobilistico, all’insegna di una nuova visione, al contempo ecologista e futurista. Sfortunatamente, come vedremo, si è trattato di una rivoluzione “monca”: qualcosa non ha funzionato, impedendo così il passaggio dalla sperimentazione alla prassi.

Alcune info della Panda elettra

70 Km/h
KM/h raggiungibili con la Panda Elettra

100Km
di autonomia di Panda Elettra

35K Km
consigliati per un cambio batterie

2.5min lire
costo sostituzione batterie

25.600.000 lire
Prezzo di listino

Nel 1990, Corso Marconi decide di scommettere sul futuro: la Fiat decide di lanciare sul mercato la Panda Elettra, una versione a zero emissioni di quel “Pandino” divenuto iconico nel decennio precedente. È omologata per due posti, può raggiungere una velocità massima di 70 chilometri all’ora e, gli esperti lo giurano, con una carica completa può percorrere fino a 100 Km. Le batterie al piombo occupano tutto il bagagliaio posteriore, hanno un costo di 2.500.000 lire e la loro sostituzione è consigliata dopo il raggiungimento della soglia dei 35mila Km.

Ovviamente, come ogni innovazione, la Panda Elettra ha un suo costo. Il prezzo di listino è molto alto: 25.600.000 lire. Con la stessa cifra si possono comprare due Seicento Young e una quindicina di Motorola 8700: più che un’utilitaria, un bene di lusso. Le prestazioni non proprio esaltanti, il prezzo proibitivo e i vari difetti in termini di comfort e rendimento resero l’Elettra un’auto poco appetibile per i consumatori, decretando il suo tramonto e spingendo il gruppo torinese ad abbandonare anzitempo l’ambizioso progetto ecologista.

Negli anni successivi, la Fiat ha abbandonato definitivamente la via dell’elettrico, scegliendo di puntare sul metano. Il gruppo non è più tornato sui suoi passi: in più occasioni, Sergio Marchionne ha predicato estrema cautela in merito allo sviluppo di auto elettriche, sottolineando come, In Italia, fossero praticamente inesistenti tanto incentivi all'acquisto di auto elettriche, come invece ci sono in altri Stati, quanto fonti consistenti per lo sviluppo di questa tecnologia.

I tempi per guardare al futuro sembrano però maturi: secondo un’indagine del maggio scorso, condotta dal Boston consulting group, entro il 2030 i veicoli elettrici rappresenteranno circa un quarto di tutte le automobili e dei camion su strada e il 50-60% delle vendite di nuove automobili. La considerazione degli impatti ambientali non è più una mera questione ideologica, ma la variabile attorno alla quale saranno strutturate le produzioni del futuro.