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Ecco cosa succede davvero ai 'chemsex party'

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Quando ho ipotizzato gli argomenti da trattare in questa mia fantomatica rubrica sul sesso, ho cominciato a scrivere questo articolo pensando che sarebbe bastato raccontare la mia prima volta in un chemsex party: era l’agosto del 2012, io avevo 23 anni e non sapevo né che quel tipo di incontri fosse strutturato e abituale né che avesse un nome, e che il nome fosse chemsex; un tipo su GayRomeo (indimenticabile precursore di Grindr) m’aveva invitato a casa sua dove eravamo tutti maschi: alcuni sul divano, altri attorno al tavolo, altri ancora nascosti nell’antibagno in discutibili posizioni fra spettatori masturbanti, perché lui non voleva che si facesse sesso sul sofà…

Il rischio nel parlare di chemsex

A un certo punto della scrittura, però, mi sono dovuto fermare: io non mi ero mai accorto che il tavolo fosse un co-protagonista della vicenda, attorno al quale i partecipanti svolazzavano come api; per continuare a redigere ho contattato allora il ragazzo che mi ha sempre fatto da ponte per le feste, che la domenica mattina capitava mi scrivesse «via Tale, citofono Tale, tale piano»: lui, come me, frequenta queste case – di proprietà, in affitto o prenotate su Airbnb – solo per scopare con uomini e ragazzi dai corpi bellissimi, nudi o in pantaloncini o col jockstrap: per parlare di droghe mi ha allora messo in contatto con un paio di altri tizi – a cui io ho subito detto «sto lavorando a un articolo sui chemsex party», per essere immediatamente bloccato. «Cosa ti aspettavi?» mi ha domandato lui: «Le iene fece una roba simile e se ne parlò fra tutti quelli del giro: nella casa di via M. adesso non si fanno più feste così numerose».

Stavo quindi per arrendermi al fatto che avrei consegnato l’ennesimo articolo fraintendibile su questo tema, di quegli articoli che titolano «ecco cosa succede davvero ai chemsex party» o «viaggio negli inferi del sesso estremo gay» – errore che peraltro avevo già commesso nel 2017 – raccontando che certe serate itineranti (come il Circuit di Barcellona o il Cox) si portano dietro anche certe persone, che noleggiano trilocali dove si trascorre un giorno o due senza mai uscire, facendo entrare altri ragazzi racimolati grazie a qualche K su Grindr o, più raramente, scrivendo kms col rischio di essere bannati. Stavo dunque per arrendermi ma poi ho incontrato Gabriele, un biologo, che mi ha detto: «affidati a qualche associazione che se ne occupa».

Cos’è davvero il chemsex

Io non avevo idea che ci fossero associazioni che si occupano di chemsex, così come non avevo idea che ci fossero attivisti e ricercatori come Filippo Maria Nimbi, né che esistessero degli sportelli (BLQ Checkpoint), un sito di sostegno (chemsex.it) e un libro ben lontano dal caso Varani ("Ragazzi chimici", di Angela Infante e Andrea Mauri); e così, ho scoperto che non tutto quello che chiamavo e chiamiamo chemsex è, in realtà, chemsex: la definizione che nel 2017 ne ha dato l’HM Government è di «un nuovo fenomeno sul consumo di droga durante eventi sessuali per facilitare, migliorare e prolungare l’esperienza tra uomini» – i cosiddetti MSM: non si tratta di veglioni nei club né di ragazzi che si bucano nei parchetti (bucare, poi, è un termine ormai rimpiazzato da slammare); né ogni tipo di sostanza fa chemsex, ma solo Crystal, MEF e G – che a volte è GHB a volte GBL, che confusamente viene definito "ecstasy liquida" o "droga dello stupro" perché in alti dosaggi provoca amnesie e scomparsa dei riflessi.

Il MEF è invece il Mefedrone, spacciato anche come «sale da bagno», con effetti simili allo Speed: euforia, loquacità, disinibizione e ottime prestazioni fisiche; il Crystal è la versione in polvere della Metanfetamina, che diminuisce lo stimolo di fame, sonno e stanchezza aumentando fiducia in sé stessi e desiderio sessuale. Questi chems (abbreviazione di chemicals) sono spesso associati ad altre sostanze – alcool, Ketamina, cocaina, popper e alcuni inibitori della fosfodiesterasi come il Viagra.

Le sostanze possono però variare tra Paesi e città in base alla disponibilità: Crystal e MEF si usano più a Milano che a Roma, crack e base (la cocaina fumata) sono molto italiani, lo slamming si pratica quasi solo all’estero – mentre il G è una delle prime cause di overdose nel Regno Unito. In party molto frequentati i partecipanti scrivono col pennarello il proprio nome o numero sulle cosce, in modo che l’ambulanza – nel malaugurato caso di un’emergenza – sappia con chi ha a che fare: gli astanti potrebbero non avere coscienza di ciò che accade.

È anche per questa incoscienza che i ragazzi in terapia (antiretrovirale o PrEP) assumono i farmaci in simultanea, per avere certezza di aver preso le pillole, puntando costantemente sveglie che ricordano loro di idratarsi (idealmente con bevande isotoniche, che hanno cioè la stessa pressione del sangue), di masticare una caramella, di fare docce fredde per abbassare la temperatura del corpo e di assumere tra i 2 e i 5 ml di G per mantenere l’effetto. Sbagliare la dose è facilissimo, così come dimenticarsi di mangiare o di dormire: gli sportelli e i siti di consulto raccomandano di partecipare alle feste sempre con qualcuno che mantenga la lucidità.

Quello che non vi dicono sul chemsex, un fenomeno comunitario

Chi come me ha però partecipato solo per il sex e non per i chems (il 15% dei gay europei dichiara di essere stato almeno a un party) lamenta che di sesso in realtà se ne faccia ben poco: alcune sostanze rendono difficili le erezioni e quindi si ripiega su attività non coitali, come l’oral o il fisting – finché, in assenza di Viagra, la festa si trasforma in un chill-out, ossia un collettivo relax platonico. A cui inevitabilmente seguirà il down, la fine dell’effetto di ogni droga che coincide spesso col rientro a lavoro, che ne amplifica la spossatezza, tremendi mal di testa e stati ansiogeni.

Faccio notare a Gabriele che i momenti di chill fanno già parte del chemsex: «ma è un setting mentale diverso» mi dice lui; «tu cosa provi quando fai sesso in quel contesto? I tuoi partner sono in uno stato psico-fisico differente dal tuo». Eppure mi sembrano lucidi: abuso di ragazzi poco coscienti? «No, è un ambito di commensalismo: tutti ne trovano giovamento, quelli che si drogano e quelli che scopano. Non bisogna guardare al chemsex come fenomeno sociale, ma come fenomeno comunitario».

La comunità non è un caso che sia quella degli MSM: lo stigma dell’AIDS ha contribuito a produrre il fenomeno insieme al minority stress e alla rivoluzione tecnologico-sessuale, veicolata dalle app di dating e confluita nel sesso occasionale. L’articolo che avrei dovuto scrivere quindi non doveva compiacersi del voyeurismo dato dalle mie esperienze: cancellai l’incipit e ricominciai dall’inizio.

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