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La violenza psicologica è violenza. Come riconoscerla

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Non lascia lividi sul collo né graffi sulle braccia, eppure la violenza psicologica è reale tanto quanto quella fisica. Così reale da poterla afferrare a mani nude, come nel caso di M., violentato da esplosioni di rabbia e nomignoli denigratori o di G., torturata psicologicamente dal marito per anni. E se la violenza fisica è in calo dal 2006, per quanto riguarda quella psicologica un dato non trascurabile è fornito dalle mancate denunce e dagli stereotipi di genere che declinano “vittima” soltanto al femminile. Abbiamo, quindi, chiesto allo psicoterapeuta Roberto Stella e a Patrizia Montalenti, presidente del centro Ankyra di Milano, come poterla riconoscere e combattere.

Come si presenta la violenza psicologica nella coppia:

  • Ricatto
  • Coercizione
  • Denigrazione
  • Isolamento

Tra terra bruciata, intimidazione e prevaricazione

Lo psicoterapeuta Roberto Stella spiega che di solito il carnefice tende a isolare la vittima, usando espressioni sfuggenti ma persuasive. «Le frasi più tipiche sono: “se mi ami, non vedrai più i tuoi amici quanto li vedevi prima”, “se mi ami lascerai il tuo lavoro”, “farai questo per me e quello che fai non è abbastanza”, “se mi ami davvero non vedrai tanto la tua famiglia quanto la mia”». La violenza può pendere però forme terribili quando tocca il ricatto psicologico, manifestandosi in espressioni del tipo: «se non fai questo non ti darò più i soldi per andare a fare la spesa e non potrai neanche più andare a trovare tua madre o un tuo amico». La coercizione scatta, invece, quando si costringe qualcuno a fare qualcosa, parlando male di lui o di lei alla propria famiglia e agli amici in comune, con una squalifica sociale. «Questo tipo di violenza accade non perché non ci sia intelligenza o consapevolezza della sofferenza che avviene all’interno di una coppia. Anzi, in alcuni casi, ci si incastra o addirittura si ricercano e si alimentano le violenze psicologiche».

La violenza sugli uomini: la storia di M.

Si scrive “vittima”, ma non sempre l’articolo è femminile. Patrizia Montalenti, presidente di Ankyra, fa sapere che il 95% degli uomini che hanno subito violenza psicologica si rivolge al centro milanese perché «l’unico in Italia a prendere in carico anche il sesso maschile». «Ѐ vero che almeno in apparenza la violenza psicologica è più diffusa sulle donne, ma questo non vuol dire essere autorizzati a trascurare questi casi». Casi come quello di M. «Sono stato insultato e denigrato in pubblico. Mi ripeteva che non valevo niente e che anche il mio lavoro non valeva niente. È arrivata a screditarmi anche di fronte ai suoi famigliari raccontando che mi ero baciato con una mia collega». Poi è arrivata la violenza fisica. «Mi ha minacciato con un coltello di fronte a nostra figlia. Ha anche tentato di soffocarmi». Tratti comuni della violenza psicologica sugli uomini. Montalenti afferma che, però, l’uomo si vergogna a denunciare. «Tutta colpa dello stereotipo che vuole il maschio virile e la donna sottomessa. È difficile per un uomo confidarsi anche con il suo migliore amico».

La denigrazione di una donna: la storia di G.

G. è giovane e innamorata, ma suo marito non fa che ripeterle quanto sia brutta e ignorante. «La violenza psicologica all’inizio non la riconosci, pensi che siano solo momenti di down nella coppia». Gli episodi di umiliazione e di prevaricazione si fanno, però, più frequenti, fino ad arrivare alla privazione del cibo e della possibilità di lavarsi. «Ѐ passato molto tempo prima di riconoscermi nel profilo della vittima. Lui mi ripeteva che ero pazza e che nessuno mi avrebbe creduta». «In fondo, mio marito era ben voluto da tutti. Mi ha tolto da sotto i piedi la fiducia in me stessa». G. vive nell’oblio per un tempo lunghissimo. Poi si confida con un’amica che la indirizza verso l’associazione Luna e Sole. «Non è stato un passo semplice, sono stata messa in una struttura e ho dovuto ricominciare la mia vita da capo. Ho dovuto portare prove di tutto quello che mi era accaduto». Una lotta di Davide contro Golia.

Quando la vittima è un bambino

Secondo Roberto Stella, «la violenza psicologica la si riconosce se si conosce il benessere psicologico». «Se non conosciamo lo stare bene, non possiamo riconoscere che qualcosa non va». Questo vale per i bambini, dove una violenza di gruppo la riconosciamo e la percepiamo come qualcosa di sbagliato e non solo di doloroso solo se a casa regna la serenità. «Sarebbe fondamentale allargare il metodo Montessori nelle scuole. È un sistema che ha salvato tante vite ma è qualcosa che comprende ancora poco la dimensione relazionale e di gruppo, come lo scambio e la cooperazione per raggiungere gli obiettivi». Se la violenza è in famiglia sarebbe importante che fosse la scuola a fornire un’educazione psicologica, tramite l’istituzione di un’ora di psicologia alla settimana. «Bisogna educare i bambini alla buona relazione. Ma spiegare ai bambini tutto questo non è facile. Possiamo, però, puntare sulla favola e sulla metafora. Molti cartoni di oggi sono attenti a questo aspetto».

Come combattere la violenza psicologica

Roberto Stella spiega che «quello che andrebbe fatto in presenza di violenza psicologica è quello che insegnano a chiunque abbia praticato combattimento o arti marziali». «La prima forma di difesa non è l’attacco ma l’allontanamento. Quando una persona ci punta una pistola addosso bisogna fuggire». Ma altrettanto importante è saper riconoscere i meccanismi interni e familiari per cui continuiamo a vivere in una relazione psicologica violenta. «Bisogna capire le dinamiche retrostanti la violenza psicologica per evitare di ricaderci, imparare a difendersi ed evitare questo tipo di relazioni».

  • Fuga
  • Capire le dinamiche pregresse

Tra le cause: l’assenza di un’infanzia serena e di una buona educazione agli affetti. «Ѐ mancato un esempio da parte dei loro genitori di che cosa sia una coppia funzionante. In altri casi arrivano in terapia perché hanno provato a sabotare la loro relazione per una serie di motivi psicologici anche complessi, utilizzando o lasciando utilizzare violenza». Ma uscire da una relazione violenta è possibile, a patto di sapersi riconoscere come vittime o carnefici.


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