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Un dress code da museo. Studentessa non può entrare al Museo d'Orsay

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È un caldo pomeriggio parigino e Jeanne decide insieme a un’amica di andare al Museo D’Orsay, ma viene fermata all’ingresso da una funzionaria. «O si copre o lei non entra», le dice. Dopo un breve battibecco e a testa bassa, Jeanne indossa la giacca che aveva con sé per coprire la scollatura dell’abito. «Il problema è che sono stata sessualizzata e che si è proiettata su di me una visione che non ho nei fatti rivendicato», ha detto a Brut. «Alla fine sono venuta a un museo per vedere un’esposizione». E invece ha scoperto «di essere un corpo con due grossi seni». Al pari dei grandi nudi esposti nel museo. L’Orsay si è poi scusato, ma ormai la lettera aperta di Jeanne in cui denuncia l’accaduto ha fatto il giro del mondo. Le Femen hanno risposto con una dimostrazione proprio al D'Orsay.

Le Femen al D'Orsay

«Ceci n’est pas obscène», questo non è osceno. Sembra una citazione di Magritte, ma in realtà è lo slogan con cui le Femen si sono presentate a seno nudo al museo d’Orsay per protestare contro quanto accaduto martedì scorso a Jeanne. Una decina di attiviste si sono ritrovate all’interno del museo al grido «l’oscenità è nei vostri occhi». «Per quelli agenti un abito scollato è un problema, ma non crea loro alcun problema fissare i seni di donna e giudicare com’è vestita», hanno detto in un comunicato. Ma qual è la versione di Jeanne dell'accaduto?

La versione di Jeanne

Seni come arma di distruzione di massa. È questo il motivo che secondo Jeanne ha portato la funzionaria a fermarla all’ingresso. «È martedì 8 settembre, il caldo aumenta nel pomeriggio e le braccia si scoprono. Ho voglia di andare al museo d’Orsay, e non sospetto che il mio décolleté sarà un oggetto di discordia. Arrivata all’ingresso non ho il tempo di mostrare il biglietto che la vista dei miei seni turba la funzionaria incaricata del controllo delle prenotazioni, che parte salmodiando: ”Ah no, non è possibile, non si può lasciare passare una cosa simile”, mentre la collega cerca di convincerla a lasciare perdere. Chiedo che cosa stia succedendo, nessuno mi risponde ma fissano i miei seni, mi sento a disagio, l’amica che mi accompagna è sconvolta. Un altro agente, di sicurezza stavolta (i seni, quest’arma di distruzione di massa) si avvicina e mi intima ad alta voce: “Signora le chiedo di calmarsi”. Sono calmissima, vorrei solo capire perché non posso entrare nel museo. “Le regole sono le regole”. Arriva un altro responsabile, nessuno ha il coraggio di dire che il problema è il décolleté, ma tutti fissano apertamente i miei seni, designati alla fine con un “questo”».

“Le regole sono regole”

Nella maggior parte dei musei del mondo, fatta eccezione per quelli di carattere religioso come i Musei Vaticani, non c’è un dress code preciso da seguire. Anzi. Anche se Internet pullula di utenti preoccupati su come dovranno vestirsi per entrare al museo, sempre più visitatori sfoggiano il loro abito migliore per non sfigurare nei selfie scattati accanto alle opere d’arte. La storica della moda Emily Spivack ha addirittura condotto uno studio sull’outfit da indossare per una giornata al MoMa di New York, scoprendo che i visitatori amano vestirsi comodi ponendo però grande attenzione all’abbinamento dei colori. In Italia, invece, si punta su look sempre più ricercati, ispirati, forse dalle mise di Chiara Ferragni. L’abbigliamento corteggia, così, le opere d’arte, alla ricerca di like, come spiega Gianfranco Maraniello, direttore del Mart. E se l’abito diventa estensione artificiale del quadro esposto, sono le regole, però, a fare da naturale cornice. All’articolo 7 del regolamento dell’Orsay si dice infatti che i visitatori “devono adottare un vestiario conforme alla decenza e un comportamento conforme all’ordine pubblico e devono rispettare la tranquillità degli altri utenti”. Anche gli Uffizi sottolineano nel loro regolamento che “è richiesto un abbigliamento consono all’ufficialità degli ambienti museali (si considera inappropriato e dunque vietato, ad esempio, visitare il museo in costume da bagno, in abiti troppo succinti, in abiti da matrimonio, costumi storici ed ogni altro travestimento lesivo della dignità dei luoghi)”. Insomma, sta tutto alla personale concezione di decoro del funzionario all’ingresso. E all’altrettanto nostra personale concezione di rispetto dei luoghi dell’arte.

La filosofia delle Femen

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