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Vent'anni dopo il massacro di Columbine, in America continuano le sparatorie

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Vent’anni dopo il massacro alla Columbine High School si continua a parlare di mass shooting e armi da fuoco negli USA. Nel primo weekend di maggio ci sono stati 400 tra morti e ferite nel corso di ben 9 sparatorie di massa. Ad aprile, un ragazzo di 19 anni è entrato nel deposito della FedEx di Indianapolis dove lavorava e ha fatto fuoco sui dipendenti, per poi suicidarsi. 8 morti e 9 feriti. A Indianapolis, da inizio 2021, ci sono già state tre sparatorie di questo tipo, per un totale di 17 morti, tra cui una donna incinta e un bambino. «La violenza delle armi è un'epidemia in America» ha dichiarato il Presidente Joe Biden «ma non dobbiamo accettarla, dobbiamo agire. Troppi americani muoiono ogni giorno per la violenza delle armi: è una macchia sul nostro carattere ed un colpo alla stessa anima della nostra nazione». Ma i proclami dei politici sembrano ripetersi negli anni sempre uguali, da quel 20 marzo 1999 quando, nella scuola di Columbine, irruppero Eric Harris e Dylan Klebold.

Bowling in Columbine

«Era la mattina del 20 aprile 1999, una mattina come le altre in America. Il coltivatore lavorava nei campi, il postino consegnava i pacchi e il Presidente bombardava un altro paese di cui non sapeva pronunciare il nome». Con queste parole il regista Michael Moore apre il suo celebre Bowling in Columbine, film documentario premio Oscar, sul massacro della Columbine High School, uscito a luglio del 2002. Un’opera fondamentale per il movimento sul controllo delle armi, che tocca molti altri temi, come il disagio della periferia bianca americana e il bullismo scolastico, di cui erano vittime i due autori della strage. Eric Harris e Dylan Klebold, diciassettenni e armati fino ai denti. Quel 20 aprile del 1999, Eric e Dylan piazzarono due borse contenenti bombe al propano nella mensa della scuola e poi attesero nel parcheggio. Il loro piano era far esplodere gli ordigni alle 11.17 così da costringere la scuola a evacuare tutti gli studenti, e poi sparare sulla folla. Ma il timer delle bombe si guastò e non ci fu alcuna esplosione. Allora i due raggiunsero una posizione elevata, lanciarono una delle ottanta bombe a tubo che avevano prodotto, imbracciarono i fucili e cominciarono a fare fuoco sui loro compagni. Poi entrarono nella caffetteria dove, però, non trovarono nessuno perché il coach della squadra di softball aveva fatto fuggire tutti ai primi spari. Il bilancio, dopo soli 8 minuti, era però già di 12 vittime tra morti e feriti. Ma la vera e propria strage iniziò alle 11.25, nella biblioteca, dove si erano rifugiate 56 persone. «Tutti quelli con i cappelli bianchi in piedi! Ve la faremo pagare per la merda che ci avete fatto subire per quattro anni!», gridò uno dei due. Il cappellino bianco era l’indumento distintivo dei membri delle squadre sportive della scuola, probabilmente i principali aguzzini di Eric e Dylan. Nessuno si alzò. «Cominceremo a sparare comunque!». Dopo aver ucciso e ferito 33 persone, i due uscirono dalla biblioteca alle 11.42, girarono la scuola per venti minuti e infine si incamminarono verso la caffetteria. Alle 12.02 Eric prese il suo fucile a pompa calibro 12, Dylan la sua pistola Tec-9 semiautomatica, e si suicidarono. Dopo la strage, in America si discusse molto su cosa fare perché non si ripetesse più un simile massacro. Il risultato fu l’introduzione di nuove norme per consentire alle Swat di irrompere anche in presenza di ostaggi e di sparare in totale autonomia. Prevedibilmente, i massacri nelle scuole (e non solo) sono continuati. Anzi, sono aumentati.

Massacri scolastici e non solo: il problema delle armi

Columbine rappresentò il secondo, più grave, massacro scolastico con armi da fuoco della storia americana. Il primo, alla Virginia Polytechnic Institute and State University, avvenne 8 anni dopo Columbine, il 16 aprile 2007. Il ventitreenne Cho Seung-hui, studente di origine coreana vittima di gravi atti di bullismo, uccise 32 persone, ne ferì altre 29 con due pistole semiautomatiche, per poi suicidarsi. Ma le stragi con arma da fuoco non sono un problema solo per le scuole. La sparatoria di Indianapolis che ha colpito la FedEx questo fine settimana, arriva alla fine di un mese caldissimo che aveva già visto il mass shooting di Atlanta del 17 marzo (otto morti) e quella di Boulder del 22 marzo (dieci morti). Quest’ultimo ha sollevato una vasta ondata di indignazione. Nella città del Colorado, infatti, era stata vietata la vendita di armi d’assalto nel 2018 ma la NRA (National Rifle Association, principale lobby americana delle armi) aveva fatto ricorso vincendolo il 12 marzo scorso. Secondo la ricostruzione della polizia, il 16 marzo, quattro giorni dopo l’abolizione del divieto, Ahmad Al Aliwi Alissa era riuscito ad acquistare il Ruger AR-556 con cui poi ha compiuto la strage. Francesco Costa, autore di Questa è l’America, ha descritto il legame tra armi e massacri in USA durante un’intervista per la presentazione del suo libro: «C’è chi sostiene che le stragi da arma da fuoco non siano dovute al proliferare di armi, ma a qualche aspetto peculiare della cultura e della società americane, come se la propensione alla violenza fosse più marcata lì che altrove. Non è vero: se si guarda al numero di reati commessi, ad esempio le rapine, si vede che il tasso per abitante non è così diverso tra Londra e New York. Il problema è che a New York è molto più probabile che spunti una pistola e ci scappi il morto. Ci sono semplicemente più armi, e prima o poi qualcuno che le utilizza spunta fuori».

Armi pro capite e stragi

20mila vittime di omicidio l’anno, di cui 14mila da arma da fuoco e 120,5 armi ogni 100 abitanti. Questo, il risultato dello studio compiuto dal Centers for Disease Control and Prevention, che fa parte del Dipartimento della Salute statunitense, nel 2017. Un numero esorbitante se si considera che in Italia, paese cinque volte meno popoloso, il numero di vittime l’anno è 357, 55 volte meno degli USA. Al problema della diffusione non solo delle armi, ma di certi tipi di arma, in particolare i fucili d’assalto, si è poi legato quello dei mass shooting, sempre più numerosi. Secondo il Gun Violence Archive, il numero di questi “omicidi multipli con armi da fuoco, in cui quattro o più vittime sono uccise” è quasi triplicato in sei anni, passando dai 269 del 2014 a 614 nel 2020. Un trend che si spiega anche con la crisi sociale ed economica che ha investito, dal 2008, la periferia americana, principalmente bianca e culturalmente legata ad associazioni come l’NRA. Un intero popolo arrabbiato e impoverito che ha visto naufragare il proprio sogno americano e che ora cova come un incendio sotto le ceneri, disperato e armato fino ai denti.

I film sul massacro della Columbine High School

  • Duck! The Carbine High Massacre (2000)
  • Bowling a Columbine (2002)
  • Zero Day (2003)
  • Elephant (2003)
L'America non è il più grande paese del mondo

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