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La commovente storia dell'ultimo mercante di ghiaccio

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Qualche balla di fieno, un piccone, tre asini ed una montagna alta 6268 metri. Dalle pendici alle vette del Chimborazo, dal lunedì al venerdì, per ogni settimana degli ultimi cinquant’anni, la vita di Baltazar Ushca Tenesaca non necessita d’altro. Baltazar, infatti, è l’ultimo mercante del ghiaccio, un mestiere caduto quasi completamente nell’oblio, nel mondo occidentalizzato quanto sulla cordigliera dell’Ecuador.

El Ùltimo Hielero - © Manuel Succi
El Ùltimo Hielero - © Manuel Succi

Eppure, temerario come pochi, Baltazar non molla, forte anche della consapevolezza di offrire un ghiaccio «dal sapore migliore, più dolce e ricco di vitamine che fanno bene alle ossa». Poco gli importa che la fatica non si ripaghi, che ogni settimana deve picconare 360 chilogrammi di ghiaccio per mettersi in tasca appena 25 dollari. Era il lavoro di suo padre, del padre di suo padre prima di lui e, se la miseria non avesse bussato alla porta, lo sarebbe stato anche dei suoi due fratelli più piccoli. Il fotografo Manuel Succi ha seguito Baltazar sulla cima del Chimborazo immortalando la sua vita con una Leica M6, scatti che potete vedere in questo articolo e, integralmente, sul suo sito.

L'ultimo mercante di ghiaccio al Tribeca Film Festival

Anche il New York Times ha dedicato a Baltazar il cortometraggio El Último Hielero, presentato nel 2012 al Tribeca Film Festival, per la regia di Sandy Patch. Il breve documentario tratteggia la vita di Baltazar fuori dal tempo, legata indissolubilmente al passato.

El Ùltimo Hielero - © Manuel Succi
El Ùltimo Hielero - © Manuel Succi

Con il suo ghiaccio, vengono prodotti gelati e granite nella città di Riobamba, ma anche chi acquista il suo prodotto al mercato di La Merced sa benissimo di quanto anacronistico sia il lavoro di questo particolare mercante: «Il ghiaccio è veramente economico, il nostro lavoro non vale nada» ricorda Juan, il minore dei fratelli di Baltazar, che ora fa il muratore dopo aver abbandonato, a malincuore, l’antica professione di famiglia

Cinquant'anni scalando il Chimborazo

Nel 1918, il mondo conobbe il primo frigorifero auto-refrigerante. Da allora, il mercante di ghiaccio è divenuto via via un personaggio quasi mitologico, che incanta, ma che non serve sostanzialmente più a nessuno.

El Ùltimo Hielero - © Manuel Succi
El Ùltimo Hielero - © Manuel Succi

«Papà, perché soffri così? Fa molto freddo e c'è così tanto da camminare, per di più non si guadagna nulla!» chiedono spesso i figli di Baltazar. Il cambiamento non rappresenta per forza un peggioramento, ma ci sono radici così profonde che il progresso non può cancellare. «Quando morirò, questo lavoro morirà con me» ricorda ancora Baltazar, che laconico aggiunge: «Io voglio ancora lavorare».

Una vita per la tradizione

E così s’incammina, come ogni mattina, prima raccogliendo erba secca da intrecciare (che servirà per preservare i blocchi di ghiaccio nella discesa), poi spingendo gli asini – i suoi ultimi amici – lassù, dove l’acqua gela. Un colpo di piccone, poi un altro ancora, finché non si fa l’ora di tornare a valle.

El Ùltimo Hielero - © Manuel Succi
El Ùltimo Hielero - © Manuel Succi

Vien facile ripescare, in queste circostanze, la definizione di realismo magico che contraddistingue, su tutte, la letteratura sudamericana: la presenza di elementi di fantasia, anzi, di vera e propria magia, in contesti realistici. Eppure, quando si legge “il mercante del ghiaccio”, la mente non può che volare lontana, come in un racconto dell’altrettanto noto Gabriel Garcia Márquez.

I mercanti di ghiaccio cancellati dalla tecnologia

Ma Baltazar, con i suoi 150 centimetri di statura, i denti consumati e la pelle arsa dalla fatica, potrebbe tranquillamente essere un personaggio inedito di Italo Calvino, oppure un altro, altrettanto fiabesco, di Gianni Rodari. Potrebbe, ma così non è. Perché Baltazar è vivo e vegeto, e pure laureato. Il suo lavoro, infatti, non è passato inosservato e, oltre al Times, anche l’Instituto Mexicano de Líderes de Excelencia si è accorto di lui, tanto da conferirgli nel 2017 la laurea ad honorem. «Sono felice e grato, ma dobbiamo continuare a lavorare» ha dichiarato non appena ricevuto l’alloro, consapevole di essere in un posto che, forse, non gli appartiene quanto le vette gelate del Chimborazo.

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