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diritti umani

La Spagna legalizza l'eutanasia. «Ma in Italia siamo sotto processo» ha detto Marco Cappato

Sono stati 202 i deputati che ieri hanno approvato la legge sull’eutanasia, rendendo la Spagna «un paese più umano», secondo le dichiarazioni del premier Pedro Sanchez. Con questa decisione storica, la nazione iberica diventa il quarto stato europeo e il settimo nel mondo a legalizzare la “dolce morte”. Le reazioni non si sono fatte attendere, visto che in Italia gli attivisti Marco Cappato e Mina Welby sono sotto processo per la morte di Davide Trentini.

L’eutanasia in Spagna e le reazioni in Italia

«Oggi siamo un paese più umano, più giusto e più libero» ha dichiarato Pedro Sanchez su Twitter. «Grazie a tutte le persone che hanno lottato instancabilmente affinché il diritto a morire dignitosamente venisse approvato in Spagna». In Europa la Spagna si unisce a Olanda, Belgio e Lussemburgo, nel mondo anche a Canada, Nuova Zelanda e Colombia. A essere legalizzati sono stati:

  • L’eutanasia attiva, ovvero la possibilità di ricevere la somministrazione di sostanze letali da parte di un medico.
  • L’eutanasia passiva, cioè la sospensione di un farmaco vitale.
  • Il suicidio assistito, che permette al paziente di ricevere sostanze letali che, però, sarà lui stesso ad assumere.

Una vera e propria legge sul fine vita che contempla tutte le opzioni possibili. Per poter accedere all’eutanasia, il paziente dovrà avere la cittadinanza spagnola, essere residente nel paese, inviare due esplicite richieste scritte a distanza di 15 giorni l’una dall’altra ed essere considerato “capace di intendere e di volere”. La richiesta sarà vagliata ed eventualmente approvata da due medici che avranno totale libertà di coscienza. Non sono mancate le reazioni in Italia, dove da anni l’attività di Marco Cappato e dell’Associazione Luca Coscioni cerca di sensibilizzare sul problema. «La Spagna legalizza l'eutanasia. In Italia siamo sotto processo» ha scritto su Twitter Cappato e a lui ha fatto eco l’avvocata Cathy LaTorre. «La Spagna legalizza l'eutanasia: è il quarto Paese UE a dotarsi di una legge sul fine vita. Questo passo da oggi garantirà più dignità e libertà a chi si trova di fronte a scelte che nessuno di noi si augura mai di dover fare», ha detto LaTorre.

La lunga storia del “fine vita” in Italia

Il primo a sollevare la questione eutanasia e il diritto all’autodeterminazione del malato è stato Piergiorgio Welby, affetto da anni da distrofia muscolare. Attivista, giornalista e co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni, nel 2006 chiese al medico Mario Riccio di porre fine alle sue sofferenze e di staccare il respiratore sotto sedazione. Tre anni più tardi, la storia di Eluana Englaro spaccò l’Italia in due. La ragazza rimase in stato vegetativo per 17 anni, prima che il padre Beppino sospendesse l’idratazione artificiale e l’alimentazione forzata. Fabiano Antoniani, conosciuto come dj Fabo, rimasto tetraplegico dopo un incidente, ha dovuto, invece, lasciare l’Italia. Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, lo ha accompagnato a morire in Svizzera nel febbraio 2017. Incriminato per istigazione al suicidio, è stato assolto solo nel 2019 dalla Corte di Assise di Milano «perché il fatto non sussiste». La Consulta si era già pronunciata affermando che «una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma che resta pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli». L’ultimo caso, in ordine di tempo, è stato quello di Davide Trentini, malato di sclerosi multipla. Cappato e Mina Welby lo hanno aiutato a morire, il primo raccogliendo i soldi necessari, la seconda portando fisicamente Davide Trentini in Svizzera. La Corte di Assise di Massa, per ora, ha assolto gli imputati perché “il fatto non costituisce reato”, ma il processo è ancora in corso.

Liberi fino alla fine, il progetto di legge

Al momento in Italia c’è una proposta di legge presentata dall’Associazione Luca Coscioni che ha anche lanciato l’hashtag #liberifinoallafine. Secondo il progetto, «Ogni cittadino può rifiutare l’inizio o la prosecuzione di trattamenti sanitari, nonché ogni tipo di trattamento di sostegno vitale e/o terapia nutrizionale» anche nel caso «la richiesta sia motivata dal fatto che il paziente è affetto da una malattia produttiva di gravi sofferenze, inguaribile o con prognosi infausta inferiore a diciotto mesi». La legge 219 del 22 dicembre 2017, invece, prevede solo le disposizioni anticipate di trattamento, un documento nel quale si può indicare a quali terapie si voglia rinunciare e che prevede la sedazione terminale ma non il trattamento eutanasico volontario. La sentenza della Corte costituzionale sul caso dj Fabo ha aperto una breccia verso il suicidio assistito. Ma dal parlamento tutto tace.

Marco Cappato e la storia di dj Fabo

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