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Il Sex Work è un lavoro vero

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Lavorare nel mondo del sesso, nel XXI secolo, dovrebbe essere un mestiere accettato. Una scelta professionale legittima, che nasce per fornire un servizio, secondo il più classico dei meccanismi: la domanda/offerta. Eppure, i lavoratori del sesso (donne in testa) subiscono spesso uno stigma sociale, che non tiene conto di un diritto fondamentale - quello di autodeterminarsi. Se una persona che lavora con il proprio corpo subisce una violenza, è un attimo dire che "se l'è cercata". Eppure, in una società rispettosa e consapevole, l'abuso non dovrebbe avere nulla da spartire con il sex work, che per definizione è sesso consensuale. Il manifesto dei Sex Workers Europei - elaborato a Bruxelles quindici anni fa ma ancora parzialmente inascoltato - ribadisce con forza che «l’offerta di servizi sessuali non è un invito a violenza di alcun genere». Di queste ipocrisie facciamo tutti le spese, soprattutto in Italia. Toglierelo stigma dai sex workers significherebbe inquadrarli a livello fiscale, limitando considerevolmente l'evasione. Attualmente, "mettersi in regola" è possibile, ma pochi lo fanno: preferiamo, noi italiani, coltivare il segreto di Pulcinella. Sarà pure "il mestiere più vecchio del mondo", ma sembra che ancora non sappiamo come gestirlo.

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