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Cosa c'è nel libro sui viaggi nel tempo di 'Donnie Darko'

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Sono passati vent’anni dall’uscita di uno dei film più intriganti e complessi del cinema americano: "Donnie Darko" di Richard Kelly. Classico della fantascienza in senso stretto: un’opera che utilizza la fisica del viaggio nel tempo per raccontare il nostro mondo e le sue contraddizioni. Donnie, un giovanissimo Jake Gyllenhaal, è un adolescente che, una notte, viene attirato fuori di casa da un uomo travestito da coniglio gigante. «28 giorni, 6 ore, 42 minuti e 12 secondi. Ecco quando il mondo finirà» sussurra l’uomo in costume. In quel momento il motore di un jet appare nel cielo dal nulla e precipita sulla camera del ragazzo, vuota, distruggendola.

È l’inizio di una catena di eventi che condurrà l’Universo alla sua fine. O almeno, di un Universo, come spiega il libro immaginario “La filosofia del viaggio nel tempo” di Roberta Sparrow, citato e letto dal protagonista nel film. Un oggetto di finzione diventato, per il pubblico di tutto il mondo, talmente di culto da essere realmente stampato anni dopo l’uscita del film, con al suo interno una delle più interessanti teorie di viaggio nel tempo mai prodotte.

Il destino di 'Donnie Darko' al cinema

È la notte del 2 ottobre 1988 a Middlesex, Virginia, e a casa della famiglia Darko la tv trasmette il confronto presidenziale tra George H.W. Bush e Michael Dukakis. Inizia così uno dei più riusciti, intensi, intriganti film cult di tutti i tempi: "Donnie Darko". Fiasco eclatante al botteghino, quando uscì nel 2001 incassò soltanto 517.375 dollari ma divenne, negli anni seguenti, uno dei film più amati di sempre. Tanto da essere riproposto al cinema (anche in Italia, dove era arrivato solo fuori concorso a Venezia) nel 2004 come Director’s Cut, trasformandosi in un successo mondiale.

Il destino di "Donnie Darko" è stato lo stesso di altri grandi capolavori di genere come "Blade Runner", con il quale il film di Richard Kelly condivide un solido impianto filosofico e un approccio da fantascienza classica. A corollario dell’opera un libro immaginario che fa da collante alla vicenda tragica di Donnie Darko: “La filosofia del viaggio nel tempo”.

I segreti de ‘La filosofia del viaggio nel tempo’

Al centro di tutta la vicenda c’è un libro, scritto da una scienziata impazzita: Roberta Sparrow. “La filosofia dei viaggi nel tempo” è uno dei libri immaginari più famosi della storia del cinema. Va in coppia con la "Guida galattica per autostoppisti", che tutti conoscono ma nessuno ha mai sfogliato, e “Il ritorno di Misery” che doveva salvare il povero Paul Sheldon di "Misery non deve morire". Alcuni di questi libri immaginari sono poi stati realmente pubblicati, come nel caso di "Animali Fantastici e dove trovarli" (dall’universo di Harry Potter, altro film che compie vent’anni), divenuto poi un vero franchise.

"La filosofia dei viaggi nel tempo" ebbe, in piccolo, lo stesso destino: narrato prima nella Director’s Cut di "Donnie Darko" è, ancora oggi, rintracciabile in copia fisica (molto ridotta) o sul sito dedicato. Un oggetto di culto che travalica il film e indaga alcune delle teorie sul viaggio nel tempo tra le più curiose mai formulate (e ispirate, naturalmente, al lavoro di Stephen Hawking). Secondo Roberta Sparrow talvolta il Tempo “sbaglia”, si corrompe, e genera delle diramazioni, delle realtà parallele che sono destinate a collassare. Per evitare che questi “Universi Tangenti” finiscano per distruggere l’intera esistenza, un agente di qualche tipo (nel caso del film, un uomo) deve correggere l’errore che li ha generati.

Per proteggersi da queste anomalie, quindi, l'Universo inscena sempre la stessa dinamica attraverso attori fissi. Per “La filosofia del viaggio del tempo” sarebbero: l'Artefatto (The Artifact), il Ricettore Vivente (The Living Receiver), i Viventi Manipolati (The Manipulated Living) e i Morti Manipolati (The Manipulated Dead).

L'Artefatto è “l’errore” del tempo, il segno della nascita dell’Universo parallelo, un oggetto solitamente in metallo che appare all’improvviso e in maniera irrazionale nella realtà. Nel caso di "Donnie Darko", l’artefatto è il jet il cui motore piomba sulla camera del protagonista.

Il Ricettore Vivente (Donnie, nel film) è l’essere umano che deve correggere l’errore riportando l’Artefatto nell’Universo Principale attraverso il vortice spazio-temporale che si manifesta al crollo della realtà parallela. Se non lo facesse, il collasso di quella realtà alternativa annichilerebbe l’intero universo. Il ruolo di Ricettore, però, espone il protagonista a tormentose visioni e incubi.

Il Ricettore ha un legame stretto con il Morto Manipolato (Deus ex machina, suo malgrado, dell’intera vicenda), che nel film è ovviamente Frank (e in misura minore Gretchen): come spiega "La filosofia dei viaggi nel tempo", chiunque muoia nell'Universo Tangente può tornare, per aiutare il Ricettore nella sua impresa. La morte di Frank è anche la sua trasformazione in guida.

Tutti gli altri personaggi, i Viventi Manipolati, agiscono per aiutare Donnie a completare la sua missione, ad adempiere al suo ruolo: riportare la realtà al suo stato originario. Nel farlo, Donnie mette fine a quel mondo temporaneo dove noi tutti abbiamo vissuto per circa due ore.

Una “fine del mondo” che ci viene annunciata dal principio e che ci travolge esattamente come fa con i personaggi che, dopo il sacrificio di Donnie, piangono soli nella notte, inconsciamente consapevoli di aver perduto una parte di sé e di essere passati attraverso la propria fine per poter tornare all’inizio.

“Cos’è andato storto?”

L’intera struttura scientifica dell’opera di Kelly, però, non è altro che uno strumento per raccontare qualcosa di più profondo. "Donnie Darko" è un film di fantascienza classica che usa la maschera della finzione per smascherare le ipocrisie del presente. Non è un caso, infatti, che sia un uomo in costume ad aprire gli occhi al protagonista, in un richiamo ad alcuni topoi classici della narrativa teatrale. Al di là della fisica e del viaggio nel tempo, il film di Richard Kelly è una vivisezione della società occidentale nel suo punto più alto. Un'opera che parla del presente e al presente, quel 2001 nel quale uscì il film. Donnie Darko attraversa il mondo della middle-class americana per sollevare una domanda. La stessa domanda dei tanti che hanno osservato prima le Torri Gemelle e poi le economie del mondo crollare, gli eserciti marciare (e marcire) in Afghanistan, in Iraq, in Siria: “Cos’è andato storto?”. Come siamo arrivati a questo punto?

Nelle vicende di Donnie, adolescente emarginato e probabilmente schizofrenico, questa domanda è solo suggerita ma è tanto dirompente da stravolgere la vita di tutti i personaggi, esattamente come il motore del jet che piomba nella storia da un prossimo futuro. È andato tutto storto, sibila il film, perché la nostra società ha sacrificato chi viveva ai margini, come Donnie Darko, per mantenere in vita quella sciarada di ipocrisia e finzione in cui ci culliamo ogni giorno, mentre il mondo attorno a noi crolla, senza alcun wormhole da attraversare per fuggire altrove.

Jake Gyllenhaal, Drew Barrymore e il libro di Roberta Sparrow in
Jake Gyllenhaal, Drew Barrymore e il libro di Roberta Sparrow in 'Donnie Darko'

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