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La scuola non è più un posto sicuro

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Samuel Paty era un insegnante di Storia e Geografia alla scuola media di Conflans-Sainte-Honorine. Venerdì scorso è stato decapitato da un ragazzo di origine cecena, mentre passeggiava per la periferia parigina. La sua colpa? Aver mostrato in classe caricature del profeta Maometto in una lezione sulla libertà di espressione, le stesse pubblicate dal giornale satirico Charlie Hebdo. Perché fare l’insegnante è diventato un mestiere pericoloso, tra stragi e episodi di violenza.

La scuola non è un posto sicuro

Sono 22.000 gli insegnanti e gli studenti uccisi negli ultimi 5 anni nel mondo. A dimostrazione che, al contrario di quello che si possa pensare, la scuola non è un luogo sicuro. Come sostiene Diya Nijhowne del GCPEA, «L’istruzione è un diritto fondamentale, ma in sempre più nazioni la vita degli studenti e degli educatori è a rischio solo per il fatto di insegnare e imparare. Scuole e università dovrebbero essere paradisi sicuri, non luoghi di distruzione e paura». Ma in realtà, gli attacchi sono frequenti. Il primo in assoluto, nel 1925 a Baton Rouge in Louisiana. A rimanere a terra Oscar B. Turner, professore di agronomia alla Louisiana State University. E oltre alle stragi compiute nei college americani, ci sono le stragi silenziose nelle zone di guerra. Che interessano ben 93 Stati, 19 in più rispetto al periodo che va dal 2013 al 2017.

Il bullismo che colpisce i professori

In Italia non piovono né bombe né proiettili. Ma anche nel Belpaese le scuole sono luoghi di violenza. Ogni settimana, sono infatti quattro gli episodi di bullismo che hanno come oggetto i professori, con il 27% dei ragazzi che riprende gli attacchi dei coetanei con il cellulare. Aggressioni verbali o fisiche con target una fascia di lavoratori già fortemente sottoposta a stress e ad altissima usura psicofisica, tanto che l’80% delle cause di inidoneità al lavoro è per ragioni psichiatriche. Con i decreti delegati del 1974 si è infatti introdotta la partecipazione di genitori e studenti alla vita delle scuola ma non ne se sono chiariti i limiti. E così è iniziata una lenta ma inopportuna ingerenza. Non solo. L’insegnante italiano ha smesso di ricoprire un ruolo di rilievo nella società da almeno una decina di anni. A rivelarlo è la seconda edizione del Global Teacher Status Index pubblicata da Varkey Foundation, che si occupa proprio di valutare la reputazione sociale degli insegnanti della scuola secondaria in 35 paesi. Quella degli insegnanti italiani è al 33esimo posto dal 2013, tra le peggiori al mondo. Bullizzati dalla società e dai ragazzi, c’è chi reagisce alla violenza con la violenza. Gli insegnanti che rispondono agli episodi di maltrattamento sono infatti il 57%. «Ero docente in un istituto tecnico. Passando dal corridoio ho visto un ragazzo che alzava voce su una collega. Non ci ho visto più. Sono entrato e ho minacciato di “attaccarlo al muro” se lo avesse fatto un’altra volta», racconta F. «Sullo studente non è piovuto nessun provvedimento, quanto a me, la preside mi ha costretto a chiedere scusa al ragazzo e ai genitori. Ma non sono pentito di quello che ho fatto: la prossima volta sarò più prudente e chiamerò i carabinieri». Racconti più adatti a una trincea che a una scuola, ma che non sono un’eccezione. La figura dell’insegnante, priva di autorevolezza e svuotata del suo ruolo di guida, indossa i panni della vittima o del carnefice a seconda dei casi. Colpa di una scuola che da ormai un decennio cade a pezzi, non solo, moralmente. La soluzione? Smettere di vedere gli insegnanti come dei santi missionari. E cominciare considerarli come lavoratori dell’istruzione, che come tali devono essere tutelati, dai ragazzi e da loro stessi.

La manifestazione di insegnanti e studenti per la scuola

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