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I Ray-Ban con la telecamera integrata: «è solo l'inizio». Della fine?

Vanno dai 329 ai 409 €: sono i nuovi Ray-Ban Stories, occhiali (da sole o da vista) prodotti dal gruppo italiano Luxottica in collaborazione con Facebook. Disponibili nelle versioni Meteor, Round e nella gettonatissima Wayfarer, gli occhiali consentono di scattare foto e video, rispondere alle telefonate e condividere sui social. E il garante italiano per la privacy comincia a far domande.

Tutta la tua storia

Liam Foxwell è un giovane avvocato. Vive in un mondo dove la maggior parte delle persone ha un chip impiantato nel cervello che registra tutto ciò che sente e vede, congegno che gli consente la riproduzione dei ricordi davanti agli occhi o su uno schermo esterno. Liam, attraverso una serie di vicende in cui le immagini registrate da lui e dai suoi amici sono protagoniste, scopre di essere stato tradito da sua moglie con un amico in comune. I risvolti sono così violenti da costringere Liam, a strapparsi via il chip dalle carni, usando una lametta, davanti allo specchio del bagno. È la trama del terzo episodio della prima (e anche la migliore, ndr) serie TV Black Mirror.

Uno scenario non proprio così distopico, considerato il lancio dei Ray-Ban Stories, gli occhiali con fotocamera e microfoni del gruppo multimiliardario Luxottica, prodotti in collaborazione con Facebook. Black Mirror non è l’unica opera del cinema che rimanda indirettamente all’invenzione: James Bond e Strange Days fecero la loro comparsa sugli schermi già anni prima. Gli Stories hanno due fotocamere, molto poco visibili, ai margini della montatura che possono essere attivate tenendo le mani in tasca, traguardo finale della corsa alla costante diminuzione dello sforzo fisico. Foto e video possono essere inviati a un’applicazione di Facebook, ritoccati e condivisi in tempo reale. Nelle aste sono integrati microfono e piccoli altoparlanti che consentono di parlare al telefono. La parola magica “Hey facebook” attiva la possibilità di dare comandi vocali agli occhiali.

Gli antenati dei Ray-Ban Stories

Prima ci sono stati i Google Glasses, realizzati nel 2013 e venduti fino al 2016 per intrattenimento. Dotati di fotocamera da 5 megapixel, wifi e bluetooth, gli occhiali erano brutti e ingombranti, ma con il pregio di rendere perfettamente riconoscibile - come Tom Cruise in Minority Report - la persona che li indossava. Prodotti anche questi da Luxottica avevano un prezzo abbastanza proibitivo: circa 1000 dollari. Dal 2016 Google vende solo la versione Enterprise, dedicata però a professionisti e aziende. Poi sono arrivati gli Spectacles: occhiali con fotocamera 3D realizzati da Snapchat. Design accattivante e fotocamera ben in vista, possono essere utilizzati per fare foto e brevi video, modificarli con la realtà aumentata e condividerli. Il prezzo è simile a quello di Ray-Ban Stories. L’ultima versione degli occhiali, però, è destinata agli autori e non è in vendita. Per ottenerla bisogna compilare un modulo specifico.

I dubbi del garante per la privacy

L’impressione è che i nuovi Ray-Ban Stories possano avere qualche successo, a differenza degli antenati (soprattutto dei più simili e recenti Spectacles). Il design li familiare - il modello Wayfarer è forse uno dei più diffusi al mondo - e le fotocamere camuffate (anche se il produttore continua a ribadire che sono ben visibili) li rendono ancora più appetibili. Una micro lucina si accende quando gli occhiali registrano, e questo è l'unico segnale per chi è di fronte a qualcuno che li indossa di essere “on air”. Sono le premesse alle base delle quali il Garante della Privacy ha cominciato a fare qualche domanda ai colleghi irlandesi, chiedendo di sollecitare Facebook a riferire sulla base giuridica in relazione alla quale l’azienda tratta i dati personali; le misure messe in atto per tutelare le persone occasionalmente riprese, in particolare i minori; gli eventuali sistemi adottati per anonimizzare i dati raccolti; le caratteristiche dell’assistente vocale collegato agli occhiali.

Nel frattempo Zuckerberg fa il nerd e rilascia dichiarazioni tecniche su surriscaldamento e durata della batteria; il lato umano è già lasciato alle spalle. «È solo l’inizio» ha dichiarato, del resto, annunciando il prodotto. E perché una lucina dovrebbe insospettire le persone di fronte a noi? Soprattutto perché dovremmo avere bisogno di registrare e fotografare sempre e ovunque senza rendere il nostro gesto esplicito? Eppure, grandi polveroni si sono sollevati in termini di “controllo della popolazione”, di gran lunga più pacata è la polemica sollevata in Italia rispetto alla nuova invenzione. Possiamo pretendere di ribellarci alle forme di controllo di enti pubblici e governi se non riusciamo ad aprire un dibattito sugli occhiali con la telecamera? Per condividere una foto e audio con uno sconosciuto basta mezzo secondo e non servono più neanche le mani.

Scriveva Umberto Eco nel 1998, «oggi la persona comune non desidera la privacy. Se è cornuto corre in televisione a litigare con il proprio partner infedele davanti a milioni di spettatori, se soffre di una malattia terribile sfila in pubblico con cartelli per sostenere i diritti dei suoi compagni di sventura, usa compulsivamente il telefonino, e possibilmente in modo da essere ascoltato dagli astanti, per comunicare a tutti che ha un'amante a cui dice “cicci" o una cambiale da pagare entro il tramonto, persino il pentitismo è una forma ostentata di rinuncia a custodire segreti terribili». Per questo non è tanto una questione di difesa della privacy di coloro che la richiedono, «quanto di farla considerare un bene prezioso a coloro che vi hanno entusiasticamente rinunciato».

Umberto Eco e l'intolleranza

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