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Ragazzi, avete anche voi una prostata anche se non l'avete mai fatta controllare

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La frase che chi promuove una visita urologica si sente dire troppo spesso è: “Piuttosto che farmi mettere un dito nell'ano, muoio”. Dietro questo rifiuto c'è l'ignoranza dei rischi che si corrono e il rifiuto dell'esplorazione rettale che in realtà, di solito, viene effettuata a partire dai 50 anni.

Sconfiggere le paure

Per sradicare paure ancestrali è sceso in campo anche il mondo del rugby che con un approccio “maschio” ha lanciato Movember. Si tratta di un movimento nato in Australia, rapidamente diffusosi in diversi Paesi, che vuole diffondere consapevolezza sulle malattie che riguardano gli uomini: i tumori ai testicoli e alla prostata ma anche la salute mentale e la prevenzione dei suicidi. Carlo Fazzari, ex atleta Zebre e Benetton, è il vicepresidente della Onlus Movember Italia. Una volta abbandonata la carriera sportiva, l'ex rugbista ha aperto un poliambulatorio a Brescia, e proprio nella sua struttura, che aveva aderito alla campagna di visite urologiche gratuite della Onlus, tre anni fa ha effettuato, anche lui con titubanza, il controllo nel quale ha scoperto la presenza di una massa in un testicolo.

«Io sono il caso clinico che dimostra quanto la visita sia essenziale, pur avendo aderito col mio ambulatorio alla campagna, ci hanno messo dieci minuti a convincermi a farmi visitare,» afferma Fazzari, che ha scoperto il suo tumore all'età di 28 anni, fortunatamente ancora in fase iniziale. Dopo avere subito l'asportazione di un testicolo, è diventato uno dei pochi volti pubblici della lotta a questo tumore. «Il mondo del rugby è sceso in campo per dimostrare che se non abbiamo problemi noi, che siamo l'emblema dell'uomo macho, omoni muscolosi alti un metro e ottanta, nessuno deve avere problemi a farsi visitare». Così si è affermato anche in Italia il mese coi baffi; la parola Movember infatti nasce dall'unione delle parole moustache, baffo, e November, novembre. «L'idea», continua Fazzari, «è del leading by example ovvero mostrare ai ragazzi che non si è meno uomini se ci si fanno toccare i testicoli da un medico».

«Mi è stato chiesto, ma ti senti ancora uomo?»

«È un delitto non insegnare l'autopalpazione ai ragazzini delle medie», a sostenerlo è Domenico Di Nardo, presidente dell'Associazione Italiana Tumore del Testicolo (AITT). «Oggi un ragazzino non ha la minima idea di cosa rischia», Di Nardo ha scoperto di avere un tumore a 35 anni, dopo avere ignorato per mesi una massa nel testicolo, «Se qualcuno mi avesse spiegato che questo è un tumore che colpisce i giovani sarei andato dal medico senza aspettare. Quanti altri ragazzi non hanno mai sentito parlare di questo tumore? È arrivato il momento di fare prevenzione anche per gli uomini».

«Adesso eseguo l'autopalpazione ogni volta che faccio la doccia,» ci racconta Stefano che all'età di 26 anni ha scoperto il suo tumore dopo avere avvertito dolore ad un testicolo; purtroppo per lui si erano già create delle metastasi e oltre all'asportazione della ghiandola si è dovuto sottoporre a tre cicli di chemioterapia. «Quando penso al fatto che non avevo mai sentito parlare di auto palpazione né di questo tumore mi dico ‘mannaggia, magari se avessi saputo, me ne sarei accorto prima e avrei evitato la chemio’.»

«Quando mi dissero che era un tumore maligno ricordo una sensazione di gelo,» Alessio si è accorto di avere qualcosa che non andava sotto la doccia. A soli 21 ha affrontato un intervento, la chemioterapia e l'allontanamento di alcuni amici che per rifiuto della malattia sono spariti. C'è anche chi come Tommaso, conscio di avere diversi casi di tumore in famiglia, ha notato una pallina dietro al testicolo facendo l'autopalpazione: «Mi è crollato il mondo addosso. Se prima il mio più grande pensiero era cambiare la macchina e uscire con la ragazza poi è diventato: ma io ci arrivo al mese prossimo?» Anche nel suo caso la reazione di alcuni amici è stata di rifiuto: «Dopo l'asportazione mi è stato chiesto, Come fai a guardarti allo specchio, ma tu ti senti ancora uomo?, ho risposto con una battuta: sì, solo che adesso se accavallo le gambe non mi fa più male». Anche Elia, che si ritiene una persona scrupolosa, si è accorto subito di un dolore anomalo andando in bici. Per lui la soluzione è sensibilizzare i medici di base oltre che la società: «Se avessi un figlio lo manderei a fare i controlli come fanno le ragazze e gli insegnerei l'autopalpazione».

Dopo l'asportazione, la protesi. Una necessità psicologica

«L'intervento di asportazione è obbligatorio per guarire il tumore nel testicolo. L'operazione non comporta grossi problemi dal punto di vista ormonale o generale perché c'è l'altro testicolo che supplisce la funzione.» A parlare è il dottor Roberto Salvioni, direttore della struttura complessa chirurgica e urologica della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori Milano che rassicura sulla relativa facilità di cura del tumore.

Anche la perdita della fertilità, afferma Salvioni, è superabile se il testicolo che rimane è funzionante: «Chi possiede due testicoli non ha grossi problemi fisici dall'asportazione di uno solo», inoltre, continua il dottore: «viene quasi sempre consigliato di fare una donazione del liquido seminale poiché nel 30-40% dei casi il tumore si diffonde fuori dal testicolo, quindi sono necessarie delle cure che potrebbero compromettere la fertilità». Dopo l'asportazione della ghiandola è possibile inserire una protesi, soluzione scelta da molti pazienti: «A mio parere più che di estetica si tratta di una necessità psicologica, mettere una protesi nella borsa scrotale non serve a nulla perché non si nota nemmeno, ma il paziente senza protesi potrebbe subire delle ripercussioni psicologiche».

Se gli uomini copiassero il mondo femminile e quello gay

«Partiamo dal presupposto che mentre le ragazze vanno dal ginecologo accompagnate dalla mamma, i ragazzi non vengono accompagnati da nessuno perché il padre stesso non fa controlli urologici», a parlare è Giuseppe Mirabella, urologo che aderisce alla campagna preventiva di Movember. «L'urologo è incredibilmente vissuto ancora oggi come il medico cattivo che sente la prostata e mette un dito nel sedere. La maggior parte dei ragazzi che vengono a farsi visitare hanno una fimosi, ovvero un restringimento del prepuzio che non consente di esporre il glande, ma della prevenzione non sanno assolutamente niente».

Le cose non migliorano con l'età, infatti, continua il dottor Mirabella, «Quando ai più grandi dico che per sentire la prostata devo mettergli un dito nel sedere rispondono: ‘No dottore, io non voglio farlo’. Anche se negli ultimi anni c'è stato un leggero miglioramento dell'approccio con l'urologo». Quando chiediamo al medico se a suo parere questo rifiuto sia dovuto alla cultura machista che aborre qualsiasi cosa sia lontanamente riconducibile alle pratiche omosessuali risponde così: «Credo proprio di sì, infatti i pazienti gay non rifiutano mai la visita rettale, ma anzi si scusano di non essersi preparati all'esplorazione, mentre la maggioranza degli eterosessuali la vive come una deflorazione».

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