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violenza sulle donne

Così ho imparato a raccontare il mio stupro

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Ho bevuto? Sì. Lo voglio? No. Eppure mi ritrovo sdraiata in un letto insieme a lui che mi bacia e mi tocca, come se io non fossi lì, a urlare a bassa voce che non mi va, che non ho nemmeno la forza di alzare un braccio, mentre la stanza mi gira tutta intorno per l’alcol. L’ho provocato, mi ripete. Mi dice perfino che ha con sé i preservativi, quasi a rassicurarmi. Premure da gentiluomo, riesco a pensare. Poi i ricordi si fanno scontornati, come se fossi in un altro posto. E mi addormento. Forse sogno di essere a casa, nel mio letto, con i miei genitori nella stanza a fianco. Ma quando la luce si accende e continui a tremare, come spiegarselo? E come raccontare ad amici e parenti che sì, è successo pure a te, senza che nemmeno te ne accorgessi, tanto ti girava la testa, ma che ne devi parlare per distruggere la forza del ricordo? Questa è la mia storia. Come la mia altre centinaia, altre migliaia, che troppo spesso muoiono nel silenzio. Così ho provato a tirarla fuori.

Il confronto con gli amici

Agli altri, prima o poi, bisogna pur dir qualcosa. Perché certi tuoi comportamenti e certi tuoi atteggiamenti non possono restare sospesi. Certe paure sono trasparenti come specchi d’acqua. Allora ho cominciato a fare un gioco con me stessa: aspettare che mi scoppiasse in cuore il dolore prima di vomitarlo fuori, di fronte a chiunque avessi avuto davanti. Un gioco pericoloso e anche una piccola vendetta. Così ho iniziato a parlarne con gli amici. Con le ragazze è stato facile e drammatico: tante di loro avevano vissuto esperienze simili e sono riuscite a farmi sentire compresa. Non omettevo neanche il più piccolo particolare di quella serata di Capodanno, bisognava vomitare tutto, avere lo stomaco pulito e la testa più leggera, proprio come quando si è ubriachi. Con i maschi è stato tutto più difficile, tra alzate di spalle e fastidiosi risolini. C’è chi mi ha risposto che quello che mi era accaduto rientrava nella normalità, che avrei dovuto riderci su, che sono cose che a una donna capitano. Ecco, quando racconti di stupro preparati a riviverlo nei volti contratti degli altri. Ma tu continua con il tuo gioco. Perché a ogni giro di racconto, il ricordo si indebolisce. E tu ti fai più forte contro chi ti ha creato tanto dolore.

Raccontare ai parenti

Quando si prova a raccontare uno stupro in famiglia, la paura più grande è quella di essere tu, stavolta a creare dolore. Come confidarsi a una madre, a un padre, a un fratello o una sorella? Il rischio, poi, è quello di rimanere intrappolata per sempre nel ruolo di vittima, di cucciolo da difendere dal male, quando invece si vuole urlare la propria sofferenza al mondo per dimostrare che si è vivi, nonostante tutto. Riunirsi a un tavolino e per discuterne non avrebbe funzionato. Avrebbe creato un’atmosfera troppo da Santa Inquisizione. Ho preferito prendere per mano mia madre, guardarla negli occhi e dirle che era successo anche a me, ma che le promettevo che non sarei stata vittima per sempre. Per lei, per me. Abbiamo pianto insieme, mentre mi chiedeva chi fosse stato. Ma non gliel’ho detto. Per lei, perché le avrebbe creato dolore, e per me. Perché ormai la sofferenza era così forte da non avere più un volto. Come quegli incubi in cui siamo inseguiti da un corpo senza voce né volto. Alla fine, però, ci si sveglia sempre, ed è questo che devi tenere bene a mente.

I passi verso l’accettazione

È la parte più dura. Ci si sente in colpa, come se una parte di te in fondo quel rapporto lo avesse voluto. D’altronde, si dice che l’alcol allenta i freni inibitori e che i vestiti corti sono fatti per lasciarsi guardare e desiderare. “E se veramente lo avessi voluto?”, continuavo a ripetermi. Così non ho nemmeno provato a denunciare e mi sono buttata alla ricerca di un’assoluzione. Ma più mi guardavo intorno, più sentivo il peso delle dita puntate su quella che cercavo di liquidare come una leggerezza, perché non accettavo di essere intrappolata nel ruolo di vittima. La strada per la guarigione? Vorrei scrivere che la conosco, che adesso sono in pace, ma non è così. Il mio consiglio è di denunciare, sempre. E di affidarsi a uno specialista. A me ha aiutato. La parola di un esperto può togliere un po’ di dolore, goccia a goccia. Anche se sarà l’unico compagno con cui avremo a che fare ancora per molto tempo. Anche se ancora per molto tempo continueremo a contare gli anni che sono passati da quella sera, come si contano gli anniversari, prima che il ricordo si accartocci finalmente su se stesso, chiudendosi in una cicatrice.

Quando Franca Rame denunciò lo stupro attraverso l'arte

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