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Quattro milioni di italiani soffrono di diabete e non tutti possono curarsi

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Cecilia ha scoperto di avere il diabete dopo esami di routine. «Perdevo i capelli e mi capitava di andare spesso in bagno di notte. Mi sentivo stanca e avevo perso peso», racconta a VD. Una storia che Cecilia condivide con almeno altri 4 milioni di italiani. Ma il numero è destinato a salire con il progressivo invecchiamento della popolazione. Eppure il Servizio Sanitario nazionale non garantisce a tutti un'omogeneità di accesso a farmaci e device. E dove non arriva la sanità pubblica, arrivano i social, con consigli e scambi di esperienze.

Vivere con il diabete

Cecilia ha scoperto di avere il diabete di tipo 1, detto autoimmune, solo pochi mesi fa, a 26 anni. «L’ho scoperto tramite esami di routine, anche se in realtà avevo cominciato a manifestare alcuni sintomi da un paio di settimane», spiega. «Avevo sempre sete. Mi ero detta: “caspita, speriamo di non avere il diabete”». Cecilia è un medico e così, quando sono arrivati i risultati delle analisi, ha capito subito che qualcosa non andava. «Mi sono subito misurata la glicemia e non ho avuto più dubbi: il glucometro segnava un valore altissimo». Francesca, invece, convive con il diabete di tipo 1 da più tempo. «Non ricordo la mia vita prima del diabete. L’ho scoperto a sei anni. Dovevo andare in prima elementare ed ero una bambina magrissima. Così mia madre ha deciso di portarmi dal medico, credendo che mi avrebbe dato qualche vitamina per stimolarmi l'appetito. E invece hanno scoperto che sono diabetica». Francesca è cresciuta tra un’iniezione di insulina e l’altra, ma, dice, non si è mai sentita limitata dalla malattia. «Certo, dovevo stare attenta alla dieta, controllare quanti carboidrati mangiare, ma non mi sono mai privata di niente».

Vivere con il diabete durante l’adolescenza non è stato, però, facile. «Tra i 15 e i 20 anni mi vergognavo di avere il microinfusore, una sorta di pancreas artificiale, e di avere il diabete. Era difficile, soprattutto durante le prime uscite con i ragazzi e con gli amici», racconta Francesca. «Così nascondevo il microinfusore dentro ai jeans. È stato il periodo più difficile: stavo esplorando un mondo nuovo ma sapevo di non essere uguale a tutti gli altri. Oggi forse è più semplice, ci sono i social che ti aiutano a non sentirti sola. Io stessa uso Instagram per condividere le mie esperienze sulla malattia, soprattutto perché viaggio molto e in tanti vogliono avere dei consigli».

E i social hanno aiutato anche Cecilia. «A me ha aiutato molto iscrivermi sui gruppi Facebook che trattano di diabete e seguire alcuni profili Instagram. Sui social è possibile confrontarsi con moltissime persone. Aiuta ad alleggerire e a normalizzare la situazione in cui ci si trova», dice. «Dopo la diagnosi, la mia collega più grande mi ha detto: “non ti preoccupare, con i microinfusori vivrai una vita quasi normale“. Il punto è proprio quel “quasi”: una persona con il diabete arriva a poter fare tutto, ma avrà sempre una preoccupazione in più. Potrai andare anche sull’Himalaya ma sarà più difficile per te rispetto agli altri. Non sei più spensierato come prima. Ma parlare sui social aiuta molto».

I limiti del Sistema sanitario italiano

Secondo i dati presentati da Diabete Italia Onlus e Motore Sanità e relativi al nostro Paese, il diabete di tipo 1 colpisce 500 mila persone, mentre il diabete di tipo 2 oltre 3 milioni e mezzo. Oltre ad aspettative di vita inferiori, il rischio di ospedalizzazione è più alto rispetto alla media (ogni anno circa una persona con diabete ogni sei), anche a causa della scarsa aderenza alla cura da parte dei pazienti diabetici, che si attesta intorno al 65%. Non solo: la metà delle persone che vivono con il diabete non sanno di averlo, perché può capitare che i sintomi non si manifestino.

Eppure, nonostante i numeri e pur garantendo l’accesso gratuito alle cure, l’Italia non riesce a colmare le differenze regionali di accesso a farmaci e device. Per esempio, le strisce per controllare la glicemia variano dalle 25 al mese in Sicilia, alle 250 in Abruzzo. Va peggio per i microinfusori, perché non tutti i centri diabetologici possono prescriverlo: in Toscana tutti i centri sono autorizzati a farlo, in Veneto solo alcuni. L’accesso alle cure, quindi, non è garantito per tutti allo stesso modo. Con ripercussioni sulla qualità di vita dei singoli individui.

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