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Perché oggi è importante leggere Furore di John Steinbeck

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Nel 2015 la Stanford Literary Lab promosse uno studio in cui i ricercatori analizzarono i dati di cinque diversi, ampi, database che contenevano romanzi. C’era, ad esempio, la classifica dei lettori della Modern Library, c’era la classifica dei libri del Novecento più venduti, anno per anno, la McCaffery List e la classifica settimanale degli editori: l’unico libro, tra centinaia, a essere presente in tutte le liste prese in esame era Furore di John Steinbeck (in originale The Grapes of Wrath). Secondo la Stanford, Furore era un raro esempio di romanzo “al tempo stesso profondamente rispettato dalla critica, sperimentale per certi versi e popolare abbastanza da essere un bestseller”. Furore fu pubblicato negli Stati Uniti il 14 aprile del 1939. Nel giro di pochi mesi, sull’onda di uno straordinario successo popolare, ottenne il National Book Award, fu portato al cinema (e nel 1941 vinse l’Oscar) da John Ford (con protagonista uno straordinario Henry Fonda) e vinse, il 6 maggio 1940, esattamente 81 anni fa, il premio Pulitzer.

La grande depressione in Furore di John Steinbeck

Furore è la storia della famiglia Joad, costretta ad abbandonare lo storico terreno di cui è proprietaria, in Oklahoma, per cercare lavoro altrove. Nella cornice dei difficili anni Venti e Trenta, quelli della Depressione Americana, Steinbeck si inserisce con un racconto che va dritto al cuore del problema. La famiglia Joad deve spostarsi perché le banche si appropriano dei terreni della zona, già devastati da eventi climatici sfavorevoli. Come tante altre famiglie, i Joad attrezzano uno sgangherato furgone e partono verso un miraggio californiano: la ricerca di un posto di lavoro.

Steinbeck racconta il fenomeno della migrazione interna, la devastazione umana che comporta il dover lasciare la propria casa da un momento all’altro e – al tempo stesso – l’enorme coraggio e la solidarietà di cui gli uomini sono capaci nelle situazioni più disperate. I Joad attraversano l’America senza lasciarsi sopraffare dallo sconforto. Il loro viaggio è un’odissea moderna e l’arrivo in California, però, porta solo momentaneo sollievo. Il tanto agognato lavoro non c’è. Nello scenario depresso c’è ancora spazio per i sentimenti più nobili dell’essere umano: una mano tesa che riceve una stretta, solidarietà tra anime deluse.

Il messaggio di Furore, attuale ancora oggi

Furore di John Steinbeck è uno di quei capolavori assoluti, capaci di suscitare profonda commozione a ogni rilettura. I sentimenti che Steinbeck scatena nel lettore sono istintivi e per questo è facile, ad esempio, rileggere il tema della migrazione interna americana durante la Grande Depressione (illuminante e bellissimo anche Heroes for Sale del regista William Wellman) in chiave nostrana e moderna. Se ancora oggi il The Guardian riportava, in un’inchiesta, che sono 2.000 i migranti morti in mare in seguito ai respingimenti illegali che i paesi europei hanno condotto durante la pandemia, allora bisogna tornare a chiedersi a quale fallimento la nostra società stia andando incontro, e di quale dramma parleremo fra 20 o 30 anni, quando il nostro sguardo sarà più lucido.

A tutto questo, a questo fenomeno «non si può essere impreparati», spiega lo scrittore Alessandro Baricco commentando proprio Furore di Steinbeck. Vale a dire: le migrazioni, interne e tra le nazioni, esistono da sempre. Come si può, ancora oggi, parlare con spirito propagandistico di «sostituzione etnica» o guardare con disprezzo chi, mosso da necessità, cerca luoghi migliori in cui vivere? Aprire la nostra anima all’altro, ecco qual è l’insegnamento di Furore, reso nelle parole di Tom Joad in una delle scene finali: «Uno non ha un’anima per se solo, ma un pezzetto di una grande anima, che è la grande anima di tutta l’umanità».

Steinbeck e il ruolo dello scrittore

John Steinbeck nacque nel 1902 a Salinas. Sessant’anni dopo, e sei anni prima della sua morte, ricevette il premio Nobel per la Letteratura. A trentasette anni scrisse Furore, in pochi mesi. Ma le sue opere sono numerose e molti titoli hanno fatto la storia della letteratura: Uomini e topi, pubblicato due anni prima di Furore, è il racconto di un’amicizia tra due uomini, un legame che va oltre ogni stereotipo. Anche in questo romanzo Steinbeck racconta la solidarietà, l’empatia, e la cura fra gli umili. La perla è la storia di una comunità di pescatori, prima abbagliati e poi rovinati dalla scoperta di una enorme perla.

Secondo Steinbeck «compito dello scrittore è quello di mettere a nudo i nostri innumerevoli, angosciosi errori e fallimenti riportando alla luce i nostri sogni oscuri e pericolosi allo scopo di migliorarci. Chi scrive è chiamato a dichiarare e a celebrare la comprovata capacità dell’uomo di mostrare grandezza di cuore e spirito, dignità nella sconfitta, coraggio, compassione e amore, nell’infinita guerra contro la debolezza e la depressione».

La censura e le contestazioni

Ai giorni nostri Steinbeck, come altri grandi scrittori, è stato vittima delle contestazioni del politicamente corretto: Uomini e Topi è stato criticato perché, come stabilito da un istituto scolastico di Grandville, sarebbe “pieno di razzismo, profanità e linguaggio sbagliato”. Per questo, la grande storia di amicizia di Lennie e George è stata rimossa dalle biblioteche di alcuni istituti americani.

 Anche il regime fascista puntò le opere di John Steinbeck, in particolare Furore. Quando il libro fu tradotto in Italia per le edizioni Bompiani, il traduttore Carlo Coardi tentò di stemperare le immagini più forti e i contenuti più espliciti con giri di parole artificiosi. Era il 1940, anno XVIII dell’epoca fascista. Nel 1942 il MinCulPop respinse anche la proposta di una ristampa, definendo il romanzo «incompatibile con le nostre idee».

La vita all’interno di una tendopoli di migranti

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