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Perché 'Dune' di Villeneuve è il ritorno del grande cinema

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È finalmente uscito al cinema Dune - part 1 di Denis Villeneuve. Un film diverso dalle opere a cui siamo abituati oggi, dai “film-evento” serviti sul piatto dell’hype prima della pandemia. Dune non ammicca condiscendente allo spettatore cercando di intrattenerlo con sempre nuovi stratagemmi, per evitare che apra lo smartphone e vada su Instagram. L’opera di Villeneuve compie un atto rivoluzionario che è, al contempo un ritorno al passato: chiede l'attenzione del pubblico senza trattarlo come un bambino.

Un atto di amore per Dune

Dune - part 1 è prima di tutto il frutto di un amore viscerale, incondizionato e pianificato nel tempo. Villeneuve ha dichiarato di aver realizzato Arrival e Blade Runner 2049 con il solo scopo di approcciare, preparato, Dune, grande passione della sua vita. Una missione che può dirsi compiuta. Il capolavoro di Frank Herbert, uno dei capisaldi della fantascienza mondiale è, da sempre, preda concupita dagli artisti più visionari: David Lynch ci mise mano con risultati deludenti e Alejandro Jodorowsky (affiancato da Moebius, Dalì e i Pink Floyd) pensò a una versione filmica lunga 14 ore (il documentario su questo progetto folle e lisergico è nei cinema in questi giorni).

Tutti fallirono. D’altronde Dune non è il classico Viaggio dell’eroe descritto da Vogler, anche se mantiene in sé tutti gli elementi del monomito. Come molta fantascienza del Novecento, l’opera di Herbert non è tanto l’epica di un protagonista quanto una riflessione (a tratti lisergica) sull’uomo e la società, sulla politica e la religione, sul destino e la libertà di scelta. Herbert, per il suo modo di affrontare certi temi, somiglia più a un Aldous Huxley o a un Ray Bradbury che agli autori dei racconti di avventura moderni. E aver rispettato questa vocazione originale di Dune, fa di Villeneuve un suo degno interprete.

Un punto di svolta per il cinema

Denis Villeneuve è un regista che, nell’epoca del cinema vs streaming, della battaglia per l’attenzione e per l’hype, confeziona un’opera colossale che pretende l'una e non cerca l'altro. Un film visionario e gargantuesco che, quindi, parte lento, riflessivo, profondo. Dune prende il suo tempo, richiede attenzione e se non si è disposti a concedergliela, ti molla tra le sabbie di Arrakis a danzare con i Vermi giganti. Per questa sua natura irriducibilmente intensa, Dune è il primo vero motivo per tornare al cinema dall’inizio della pandemia.

Certo, ha alcuni difetti. Le visioni di Paul sono, forse, troppe e spezzano spesso il ritmo. La prima parte si prende i suoi tempi con una certa libertà e il film risulta sbilanciato nel finale (ma per capirne l'equilibrio generale dovremo attendere, se ci sarà, la seconda parte). Alcuni personaggi, come Leto Atreides e Yuen, potevano essere approfonditi di più rinunciando a una certa magniloquenza delle inquadrature e delle sequenza (mai fuori posto, seppure a tratti ingombrante). Ma Dune trascende facilmente queste mancanze e dimostra che il cinema, quando decide di non scendere a compromessi, è una spanna sopra lo streaming.

Il film di Villeneuve, infatti, non è un ibrido sala/salotto, non è costruito per tenerci incollati allo schermo della tv distraendoci da quello dello smartphone. Non serve allo spettatore una scena d’azione dopo l’altra per mantenerlo attento: non vuole farlo e comunque non ne ha bisogno. Dune si basa su quella reciprocità di alcuni grandi film del passato che davano tanto ma in cambio chiedevano l’impegno del pubblico. Per questa dinamica, somiglia più a un Solaris di Andrej Tarkovskij che a uno Star Wars. Rappresenta anche uno spartiacque per il cinema, di genere e non. Dune è il segno che la settima arte è ancora viva e può ambire a un'esistenza propria nelle sale, senza streaming, senza hype, senza compromessi. E, se invece il futuro dirà il contrario, allora ne sarà stato il mastodontico, ambizioso, visionario testamento.

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