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C’è una frattura tra nuove e vecchie generazioni. E la pandemia l’ha aggravata

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Se c’è un mantra che è stato ripetuto più di altri dallo scoppio della pandemia di coronavirus è che «dovevamo proteggere i più fragili», intendendo con “più fragili” anche gli anziani. Eppure, da uno studio condotto dall’European Council on Foreign Relations (ECFR), sono stati i giovani a risentire di più della crisi innescata dal covid. «Sono arrivato a parlare di suicidio», ha raccontato a VD Edoardo, sedici anni. «Non ho mai la testa libera, ho sempre qualche pensiero che mi turba e ci sto male». Un gap generazionale, quello provocato dalla pandemia, che ha determinato uno scisma invisibile, ma dolorante, all’interno delle società europee. Con qualche eccezione.

L’impatto del coronavirus sui giovani in Europa

Secondo il sondaggio condotto da ECFR nei Paesi dell’Unione Europea, quasi i due terzi degli intervistati di età superiore ai 60 anni non ritengono di essere stati colpiti dalla crisi del coronavirus in prima persona, ad eccezione di Spagna, Portogallo, Ungheria e Polonia, dove la tendenza si inverte. Di contro, tra gli intervistati di età inferiore ai 30 anni, solo il 43% si percepisce come “inalterato”, mentre il 37% afferma addirittura di essere stato toccato dalla malattia. Insomma, millennials e gen z si sentono i più colpiti dalla crisi del coronavirus, che ha costretto i più giovani a cambiare il proprio stile di vita in modo radicale, con ripercussioni anche sulla loro salute mentale. Nel caso dei giovani, la pandemia è stata una minaccia per il loro modo di vivere. La maggior parte dei ragazzi e delle ragazze dice di aver sofferto. «In un certo senso, questo non è sorprendente“, si legge nel rapporto.

«È vero che le nostre società, invecchiando, organizzano molte politiche – sulle tasse e sulla spesa pubblica, sull'ambiente, sulle leggi urbanistiche – intorno agli interessi dei cittadini più anziani che voteranno piuttosto che dei più giovani che erediteranno la terra». Ma lo scarico dei costi della crisi innescata dal covid-19 è, per certi versi, «anche più netta e immediata». «In molte società è diffusa la sensazione che il futuro dei giovani sia stato sacrificato per il bene dei loro genitori e dei loro nonni. Questo sentimento riecheggia quello provato dalle precedenti generazioni di giovani che hanno attraversato altri grandi cambiamenti come guerre e rivoluzioni mondiali. Sembra difficile pensare che non vedremo conseguenze man mano che il divario diventerà più evidente».

Le ripercussioni sulla politica

La risposta al carico di sofferenza sopportato dai millennials e dalla generazione zeta è una forte ondata di cinismo tra i giovani riguardo alle intenzioni dei governi. Non è un caso, quindi che i ragazzi e le ragazze abbiano meno probabilità di credere che la principale motivazione dei governi nell'introdurre restrizioni legate alla pandemia sia limitare la diffusione del virus. Tra gli intervistati sotto i 30 anni, ben il 43% è scettico sulle motivazioni dei propri governi: il 23% pensa che il loro governo desideri principalmente creare l'apparenza del controllo, mentre un ulteriore 20% afferma che i governi stanno usando la pandemia come una scusa per aumentare il loro controllo sui cittadini.

Ma, d’altronde, ben prima dello scoppio della pandemia, i giovani europei avevano dimostrato una forte disaffezione nei confronti della democrazia. Una ricerca del Center for the Future of Democracy dell'Università di Cambridge aveva mostrato come i giovani di oggi siano la generazione più insoddisfatta delle prestazioni dei governi democratici. Insomma, «I membri di questa generazione sono più scettici sui meriti della democrazia rispetto non solo alla generazione più anziana di oggi, ma anche ai giovani intervistati in epoche precedenti», dice l’ECFR. Una tendenza in linea con la nascita dei movimenti dal basso che in questi anni sono stati alimentati proprio dai giovani e dalle loro idee. E che rappresenta un giro di boa nel panorama politico europeo.

La solitudine invisibile dei ragazzi in didattica a distanza

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