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È più facile immaginare la fine del mondo che un mondo senza automobili

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Sembra proprio così. «È più facile immaginare la fine del mondo che un mondo senza automobili». Questo il leitmotiv più ricorrente di Contro l’automobile (Eris edizioni, 2020), il saggio di critica in cui Andrea Coccia, giornalista e direttore della testata online Slow News, racconta come l’industria automobilistica abbia completamente plasmato il mondo in cui viviamo, creando una società costruita attorno all’esigenza di garantire la sopravvivenza di uno status quo incentrato su una necessità inderogabile: possedere una macchina.

Andrea Coccia contro l'automobile

Nella prospettiva di Coccia, l’adagio “There is no alternative” – che Margaret Tatcher ripeteva ossessivamente per sottolineare l’invincibilità delle politiche neoliberiste e Mark Fisher, blogger e critico culturale inglese, ha successivamente impiegato per simboleggiare la raggiunta egemonia della sua prospettiva teorica, quella del Capitalism realism – riassume al meglio i connotati di quel sistema di oppressione che lui definisce “Realismo automobilista”. La riflessione di Coccia prende le mosse da un assunto difficilmente confutabile: l’auto è il primo fra gli oggetti che il sistema capitalistico presuppone come indispensabili per portare avanti uno stile di vita migliore su questo pianeta.

La narrazione dominante, infatti, enfatizza i risvolti positivi dell’automobile, un bene tradizionalmente associato a un’ideale di libertà e che rappresenta più di altri lo status symbol di un sopraggiunto benessere (al punto che, per tante persone, senza una macchina non può esistere una compiuta transizione all’età adulta, soprattutto in un paese come l’Italia, in cui l’acquisto della prima macchina viene spacciato, spesso, come l’anticamera della libertà). Neppure le giovani generazioni sembrano pronte a un cambio di rotta: secondo un sondaggio realizzato da Electricdays e Skuola.Net, per quasi 9 giovani su 10 di età compresa tra gli undici e i trent’anni l’auto rappresenta ancora un bene imprescindibile per soddisfare le proprie esigenze di spostamento, a fronte di un risibile 10% che preferirebbe fare ricorso al car sharing o ad altre forme di mobilità. Il j’accuse di Coccia prova a confutare questa narrazione, individuando le cause che hanno legittimato la creazione – e la perpetuazione – di una dipendenza tossica: ce le ha raccontate su VD.

Come è nata l’idea di scrivere questo libro?

AC: In primis dall’osservazione della mia quotidianità: non ho la patente e vivo a Milano, quindi ho masticato amaro per anni. Ho potuto rendermi conto di tutte le libertà che mi sono state private per il solo fatto di non possedere un’auto. Ad esempio, per accedere a determinati posti di lavoro è indispensabile essere “automuniti”, circostanza che presuppone una capacità di spesa di diverse migliaia di euro ogni anno. Dal punto di vista più strettamente “filosofico”, l’ispirazione è provenuta da autori che hanno ragionato prima di me su questi temi, come Ivan Illich, autore di Elogio della bicicletta, un pamphlet uscito in 6 puntate sul quotidiano francese Le Monde.

Perché l’auto continua a dominare il nostro immaginario collettivo?

AC: La macchina è il frutto più significativo del capitalismo contemporaneo: chi si è arricchito grazie alle auto continua a occupare posizioni di assoluto rilievo a livello globale. Molte delle famiglie che hanno costruito questo impero sono in auge ancora adesso e hanno esteso la loro influenza al mondo dei media. Per semplificare, basti pensare alla famiglia Agnelli: ha acquisito le quote di maggioranza del settimanale The Economist e del gruppo editoriale GEDI, proprietario di quotidiani come la Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX e L'Espresso, oltre che di una lunga catena di giornali locali e varie radio.

Ci elenchi qualche esempio di questa prigionia?

AC: Oltre all’inquinamento atmosferico, che è il dato più ovvio, l’aggressività delle macchine è molteplice e acquisisce forme diverse. Una delle più evidenti è l’oppressione dello spazio pubblico. Un’auto occupa, di media, 15 metri quadrati e almeno due aree, il garage o un posteggio esterno: durante le prime fasi della pandemia, quando le strade si erano improvvisamente svuotate, passeggiare in centro era quasi straniante: non eravamo più abituati a una quiete del genere, all’insegna della calma e del silenzio.

Ovviamente, la macchina è anche una delle prime cause di mortalità: uccide un milione e mezzo di persone all’anno in seguito a incidenti stradali, quasi quanto le prime due ondate di coronavirus. Più in generale, senza macchina non si può essere pienamente integrati nel tessuto sociale, malgrado sempre più persone non riescano a sopportare i costi che ne derivano: basti pensare che circa un quinto dello stipendio medio italiano, che si aggira attorno ai 4mila euro all’anno a fronte di un medium wage di 20mila, viene impiegato per esigenze legate all’automobile.

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