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Perché i medici cubani meritano il Nobel per la Pace

Eravamo chiusi in casa, a vivere la nostra ora più buia, schiacciati dal carico di morti e contagiati di coronavirus, quando la brigata medica Henry Reeve è arrivata su suolo italiano, sventolando bandiere cubane. Un esempio di internazionalismo solidale che aveva commosso il Paese, facendo parlare di un “Umanesimo cubano”. Tant’è che Crema, la prima città italiana a essere soccorsa a marzo dalla brigata, ha deciso di sostenere la candidatura al premio Nobel per la Pace del contingente proveniente da Cuba. Oggi il presidente Miguel Dìaz-Canel ha annunciato su twitter che su indicazione del Consiglio mondiale per la Pace, il Comitato svedese del Nobel ha accettato la candidatura. Durante la pandemia Cuba ha inviato più di 3.700 collaboratori, raccolti in 46 brigate, in 39 Paesi e territori colpiti.

La candidatura al Premio Nobel

Tutto nasce da una petizione lanciata il 25 giugno scorso da Codepink, un’organizzazione femminista statunitense, fondata nel 2002 come movimento spontaneo, che si impegna contro il militarismo americano e incoraggia le iniziative a favore dei diritti umani. «La brigata Henry Reeve è al momento operativa in 22 Paesi per fermare il coronavirus», si legge nelle motivazioni della candidatura al Premio Nobel del personale sanitario cubano. «Noi abbiamo aderito all’iniziativa con convinzione, perché parliamo di una brigata che è dal 1963 in giro per il pianeta a supportare, con il suo personale sanitario, altri Paesi, con la volontà di esprimere solidarietà», ha spiegato la sindaca di Crema Stefania Bonaldi. Un esercito di 55.000 sanitari che intervengono rispondendo a richieste di aiuto. «Nel nostro caso è stata la Regione Lombardia su indicazione della stessa associazione Italia Cuba a richiederne l’intervento». Da qui la decisione di sostenere la candidatura della Henry Reeve. «È una candidatura interessante e assolutamente meritevole per la portata corale dell’iniziativa perché questi operatori portano un messaggio di pace e solidarietà. La loro patria è l’umanità e sono estremamente orgogliosi di questo. Ci sono Paesi che esportano armi e loro esportano medici e infermieri».

L’internazionalismo della Henry Reeve

Quando l’uragano Katrina colpì gli Stati Uniti nel 2005, Fidel alzò la cornetta per offrire a George l’aiuto della brigata medica Henry Reeve. Ma il presidente degli Usa rifiutò l’offerta. Fu il battesimo mancato del contingente medico internazionale, da 15 anni impegnato dovunque ce ne sia bisogno: dalla Guinea, alla Liberia e al Sierra Leone per l’emergenza ebola del 2014, al Pakistan e ad Haiti per l’epidemia di colera del 2010. Una forma di internazionalismo solidale, dedicata all’eroe newyorchese Henry Reeve. Nato il 4 aprile 1850 a Brooklyn, entrò in contatto con emigrati cubani lavorando in una libreria  e decise di arruolarsi tra le forze indipendentiste dell’isola di Cuba. Un esempio in carne e ossa di internazionalismo, il cui spirito rivive nella brigata di oltre 1.580 medici.

Un Nobel per il welfare

Ma, oltre all’internazionalismo della Henry Reeve (e al netto delle sue ragioni propagandistiche), è tutto il sistema sanitario cubano, nel panorama americano, a meritare un premio. Partendo da una situazione difficile, con soli 16 medici in tutta l’isola dopo la rivoluzione castrista, il Ministero della Salute si impegnò in un vasto programma di crescita del settore sanitario, costruendo policlinici (oggi 491) e ospedali rurali (oggi 222), iniziando un programma di vaccinazioni per i bambini e di istruzione di nuovo personale, istituendo il servicio medico rural e quattro programmi nazionali di controllo malattie infettive, materno infantile, degli anziani e delle malattie croniche. Dagli anni ‘80, col Programma Medico di Famiglia, lo stato è arrivato a garantire l’utilizzo di medici e infermiere, oggi 32.000 con circa 160 famiglie assistite, al 95% dei cubani: un vero capolavoro nel panorama del continente americano, che ha esportato i propri medici, in cambio di barili di petrolio, anche nel vicino Venezuela, regime simile eppure molto diverso da Cuba. La mortalità infantile, nell’isola, è di 5/1000, un quinto rispetto ai 23/1000 dell’America Latina, quella materna un quarto. Nonostante le sanzioni, l’isolamento e i disagi economici, Cuba non ha mai abbandonato né privatizzato il suo sistema sanitario, mantenendone l’efficienza nonostante la crisi che sta vivendo negli ultimi venti anni. Se la brigata Henry Reeve è l’immagine pubblica e internazionale dell’eccellente servizio sanitario castrista, a meritare il Nobel per la Pace è anche questa straordinaria coerenza del governo cubano, che non ha mai mancato a questo dovere: la salute pubblica del proprio popolo.

La crisi umanitaria in Venezuela

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