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Perché gli italiani non usano il preservativo

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Quando il coronavirus è arrivato in Italia dalla Cina la popolazione si è lanciata sugli scaffali dei supermercati facendo incetta di pasta (tranne le farfalle, che a quanto pare non fanno abbastanza Apocalisse) e generi di prima necessità. Sul web, l'amuchina e le mascherine andavano a ruba, al contrario di un altro mezzo di prevenzione certificato contro gravi malattie, anche letali, che però continua a languire su quegli stessi scaffali: il preservativo.

Il problema dell'Italia coi preservativi

La psicosi, si sa, viaggia più veloce del virus e quando entrambi sono approdati in Italia la nostra parte più irrazionale ha preso il sopravvento. Con la quarantena, mascherine monouso sono state vendute, su Internet, per 200-300 euro e un'asta ha raggiunto la cifra record di 1000. Quindi, se di fronte a un'infezione come il coronavirus eravamo pronti a vendere lo scooter per comprarci una mascherina, perché gli acquisti dei preservativi, in Italia, continuano a calare? I dati, infatti, sono sconfortanti: dal 2007 a oggi le vendite dei condom sono scese del 16%, il 57% degli italiani non li usa abitualmente e il 18% mai, mentre indovinate cosa è in crescita? Esatto, le segnalazioni per malattie sessualmente trasmissibili, che sono balzate così in alto da fare invidia a Spider-Man. La spesa pro-capite per i preservativi, in Italia, è la più bassa d'Europa: 0,43 € l'anno (sì, l'anno). Eppure le MST sono note e il rischio dell'HIV reale, quindi perché, come ha detto Elettra Lamborghini: «Vi scopate mezza discoteca senza preservativo e poi avete paura del coronavirus?»?

La spesa pro-capite per i preservativi in Europa
La spesa pro-capite per i preservativi in Europa

È una questione culturale

Non la cultura con la C maiuscola ma quella quotidiana, che forma e dirige i nostri rapporti sociali. Reagiamo al coronavirus perché i media hanno attuato una campagna di informazione (dai toni, a volte, eccessivi) e ignoriamo le MST perché nessuno ne parla. Ora, più che concentrarci su cosa ci dovrebbe preoccupare e cosa no, che sia il cambiamento climatico, il coronavirus o il sesso occasionale non protetto, potremmo far tesoro di questo concetto e agire di conseguenza. Come? Chiedendo una campagna culturale e mediatica per una sessualità consapevole e sicura, che faccia percepire l'importanza dei condom. Ad esempio, dove sono finiti gli spot di sensibilizzazione sull'uso del preservativo che riempivano di aloni viola le vecchie tv anni Ottanta? ("Se lo conosci lo eviti" è diventato un meme prima che i meme esistessero). Perché non abbiamo un vero corso, obbligatorio, di educazione sessuale in tutte le scuole? Eppure il 42% delle donne non ha usato il preservativo durante le prime esperienze sessuali, 5 milioni in più rispetto a dieci anni fa.

Il preservativo come abitudine

«Il preservativo dovrebbe essere un'abitudine» secondo Paolo Scollo, presidente della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia che, già nel 2016, aveva tentato, invano, di farsi ricevere al Ministero, «una normale misura di protezione che riguarda tutto il corpo sociale. Eppure resistono ancora tabù, in famiglia come a scuola». Così mentre, solo a Londra, ci sono 847 centri che distribuiscono profilattici gratuitamente, in Italia è un problema anche solo parlare di contraccezione. Considerando che anche la Mongolia fa educazione sessuale a scuola, l'Olanda inizia all'asilo e in Germania è materia obbligatoria dal 1968, l'Italia sta indubbiamente vivendo un ritardo culturale, che il coronavirus, con tutti i problemi causati, ha però mostrato come colmare: una campagna mediatica mirata (non allarmista) sul tema, che informi e formi tutti i cittadini, in particolare i più giovani.

La lunga storia della contraccezione

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