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Mario Draghi ha parlato della condizione dei detenuti a Santa Maria Capua Vetere

Il premier Mario Draghi e la ministra della giustizia Marta Cartabia sono stati in visita nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. La prigione è stata protagonista delle violenze contro i detenuti che hanno portato all'apertura di un'inchiesta con decine di indagati. I video emersi sui giornali nelle settimane passate hanno scioccato l'Italia e spinto le due alte cariche dello stato a visitare la prigione e a rilasciare dichiarazioni su tutto il sistema carcerario italiano.

Le dichiarazioni di Mario Draghi a Santa Maria Capua Vetere

Mario Draghi ha preso la parola durante la sua visita al carcere criticando il sistema italiano delle carceri. Una presa di posizione molto rischiosa, politicamente, ma che appare naturale dopo i video delle violenze emersi nella settimana passata. «Venire in questo luogo oggi significa guardare da vicino per iniziare a capire» ha spiegato. «Quello che abbiamo visto negli scorsi giorni ha scosso nel profondo le coscienze degli italiani. E, come ho appreso poco fa, ha scosso nel profondo la coscienza dei colleghi della polizia penitenziaria che lavorano con fedeltà in questo carcere». L'inchiesta farà il suo corso (e si sommerà a quelle che coinvolgono diversi altri istituti di detenzione) «ma la responsabilità collettiva è di un sistema che va riformato».

«Ci sono migliaia di detenuti in più rispetto ai posti letto», cosa che annullerebbe, per Draghi, la funzione principale del carcere perché «la detenzione deve essere recupero, riabilitazione. Gli istituti penitenziari devono essere comunità. E dobbiamo tutelare, in particolare, i diritti dei più giovani e delle detenute madri. Le carceri devono essere l’inizio di un nuovo percorso di vita. Poi ha concluso, ricordando comunque il duro lavoro dei tanti lavoratori del settore: «l’Italia è stata condannata due volte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il sovraffollamento carcerario. Ci sono quasi tremila detenuti in più rispetto ai posti letto disponibili. Negli istituti campani sono circa 450. Sono numeri in miglioramento, ma comunque inaccettabili. Ostacolano il percorso verso il ravvedimento e il reinserimento nella vita sociale, obiettivi più volte indicati dalla Corte Costituzionale». Perché, appunto, «non può esserci giustizia dove c’è abuso, non può esserci rieducazione dove c’è sopruso».

La situazione delle carceri italiane

I 190 istituti penitenziari italiani ospitano complessivamente 60.769 detenuti, di cui 19.888 stranieri (dati ministero della Giustizia). Il tasso di sovraffollamento è del 115%, il più alto dell’Unione Europea, ma non mancano punte del 196%. Il che significa che dove dovrebbe esserci un solo detenuto, nei fatti ce ne stanno due. Secondo il rapporto Antigone stilato nel 2019, nell’81% delle carceri non c’è connessione a Internet, mentre nel 65% non è possibile avere contatti tramite Skype con i propri cari. In alcuni casi la televisione deve essere spenta entro la mezzanotte. D’altro lato, come denuncia Antigone, il numero di crimini è in calo e dunque anche il numero di ingressi in carcere è minore. Il sovraffollamento si spiegherebbe, quindi, con l’aumento della durata delle pene, frutto dei provvedimenti legislativi degli ultimi anni, che utilizza la custodia cautelare come la panacea di ogni male.

Insomma il carcere italiano è un buco nero peggiorato da storture nazionali: la tendenza, da un lato, delle forze dell’ordine, a ricorrere facilmente e abusivamente alla violenza, dall’altro, delle alte gerarchie di quelle stesse forze a garantire impunità agli agenti. Per questa forza inerziale il reato di tortura è stato assente nel codice penale italiano per più di trent’anni. Un’assenza che era stata stigmatizzata persino dalla Cassazione nel 2014, poi era intervenuta la Corte di Strasburgo nel 2015, nel 2016 e infine nel 2017. Grazie all’azione del parlamentare Luigi Manconi (PD), la situazione infine si sbloccò e fu introdotto il reato di tortura nel codice penale e, con l’intervento del Ministro dell'Interno Marco Minniti e del Capo della Polizia Franco Gabbrielli, anche istituito un piccolo Ufficio Affari Interni dotato di sei ispettori che vigilava sul lavoro dei poliziotti (ma non su quello di Carabinieri e Guardia di Finanza). Un percorso lungo trentatré anni che, con gli scandali della caserma Levante e di Santa Maria Capua Vetere sembra essere ormai visibile a tutti.

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