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Lupin e Bridgerton. Perché si parla tanto di blackwashing?

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Su Netflix sono arrivate Lupin e Bridgerton, serie tv che stravolgono i caratteri di personaggi ed epoche ben radicati nell’immaginario occidentale: un ladro gentiluomo dalle origini senegalesi e una ottocentesca corte inglese popolata da nobili afrodiscendenti. Entrambe le serie hanno scatenato polemiche come avevano già fatto altre operazioni simili: dall’Achille nero di Netflix alla Sirenetta live action di Disney. Molti parlano di “blackwashing”, ma è corretto farlo?

Lupin e Bridgerton

Assane Diop (Omar Sy) è un giovane di origini senegalesi cresciuto con il mito di Lupin, il ladro leggendario creato da Maurice Leblanc e reinterpretato dal maestro Monkey Punch nell’omonima serie. Ispirato dal ladro gentiluomo, Assane sta per compiere il colpo del secolo: rubare il collier della regina Maria Antonietta dal valore stratosferico di 20 milioni €. Un furto che ha un significato profondo per il giovane Diop ma che serberà molti colpi di scena. La scelta narrativa dei creatori George Kay e François Uzan per il Lupin di Netflix non è quella di trasporre il classico nella Parigi di oggi, ma di raccontare la storia di un uomo che vive all’ombra di quel personaggio, ispirato dalla sua leggenda. Una scelta intelligente e coraggiosa che ha permesso di arricchire il protagonista di una tridimensionalità ben resa dall’interpretazione straordinaria di Omar Sy. Bridgerton, invece, si basa su un’altra serie di libri, quella di Julia Quinn, e nella scelta del cast l’autrice, Shonda Rhimes, è partita da un vero e proprio what if storico. Secondo la teoria (popolare ma poco accreditata) dello storico Mario de Valdes y Cocom, la Regina Charlotte (moglie di Giorgio III) sarebbe stata discendente di un’amante moresca di re Alfonso III (sovrano portoghese del XIII secolo). La teoria di Valdes è stata, per la Rhimes, il pretesto per giocare con il classico period drama inglese dando una libera reinterpretazione della vicenda immaginaria dei Bridgerton. Sono nati così Charlotte, interpretata da Golda Resheuvel, Regina afrodiscendente e Simon, Duca di Hastings, nobile nero nell’Inghilterra del XIX secolo.

È giusto parlare di blackwashing?

In realtà lo stesso termine blackwashing è scorretto e capzioso, perché coniato per creare un illusorio parallelismo con la pratica del whitewashing, costume che aveva ben altri scopi ed era figlio di altre dinamiche. Mickey Rooney che interpreta un giapponese stereotipato in Colazione da Tiffany, il ‘mongolo’ John Wayne che impersona Gengis Khan, il ‘thailandese’ Yul Brinner ne Il re ed io sono state scelte dovute a una sottorappresentazione culturale figlia di un vero e proprio razzismo sistemico nell’industria del cinema. Il whitewashing era uno strumento mirato a rimarcare confini professionali che gli afrodiscendenti, in particolare, non potevano varcare. Questo meccanismo ha impattato sulla gioventù nera nei paesi occidentali, come spiega Kai Nelson nel paper per la Johnson & Wales University Where's the Representation?: The Impact of White Washing on Black Children del 2016. Aver privato intere generazioni di afrodiscendenti di modelli positivi e rappresentazioni mediatiche ne ha aumentato l’emarginazione e danneggiato l’infanzia. Per tutti questi motivi l’odierna pratica del “blackwashing” non è assimilabile alla sua controparte bianca del secolo scorso. Ma, comunque, resta una tendenza dai risvolti controversi, soprattutto per chi pensi al rispetto delle storie e, più ancora, della Storia. In un’intervista, infatti, Shonda Rhimes ha distinto tra fiction e ricostruzione storica per le sue scelte di cast: «Per me non deve essere tutto super fedele alla realtà: parlassimo di Napoleone o della regina Elisabetta capirei, ma questa è fiction». C’è infatti una grande differenza tra mettere in scena una Sirenetta nera e fare lo stesso con un Machiavelli nero. Il Lupin di Omar Sy è un esempio di come sia possibile rispettare le storie che raccontiamo anche quando ne trasformiamo il protagonista. L’etnia di Assane Diop, nel nuovo successo mondiale di Netflix, non è un mero espediente retorico ma un ulteriore livello di lettura, una sfaccettatura in più che arricchisce il protagonista e, con esso, anche la più classica e ben nota storia di Arséne Lupin, il ladro gentiluomo.

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