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A Brescia e Madrid l'inquinamento uccide più che nel resto d'Europa

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L’Italia è a un passo dalla top ten mondiale (siamo undicesimi), e prima in Europa, per l’inquinamento atmosferico: sono 45.600 le vittime dovute all’esposizione da polveri sottili PM 2.5, come fa sapere il report condotto da 35 enti (tra cui l’OMS) dal titolo Countdown on Health and Climate Change, pubblicato su The Lancet. I dati non sono per niente rassicuranti, in Italia l’inquinamento fa più vittime degli incidenti stradali. Un problema che si sta cercando di limitare, ma che ancora è lontano dal dirsi risolto. Capofila europea, secondo un altro studio pubblicato su The Lancet Planetary Health, è proprio Brescia che balza al primo posto in Europa per decessi dovuti al PM 2.5 al fianco di Madrid, seguono Vicenza al quarto posto, e Saronno all'ottavo. Poco sotto la top ten europea Milano al 13°, Treviso 14°, Padova 15°, Como 17°, Cremona 18°, Busto Arsizio 19°. Ma, visti i dati degli ultimi anni, tutta la penisola è in una situazione d'emergenza.

Qual è la situazione dell’inquinamento in Italia?

Le cifre del PM 2.5 non sono le uniche. Le analisi portate avanti dall’Agenzia Ambientale Europea, che guardano da vicino i numeri degli ultimi anni, raccontano di più di un nemico che contribuisce all’inquinamento dell’aria. Le vittime dell'inquinamento sono:


  • 45.600 per il PM 2.5
  • 14.600 per il biossido d’azoto (NO2)
  • 3.000 per l’ozono
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L'inquinamento dell'aria in Europa

Senza considerare le morti dovute al Covid che, secondo l'ultimo studio matematico tedesco su Cardiovascular Research, sarebbero state il 15% se non fossimo stati così esposti ad agenti inquinanti. Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, ha commentato così la situazione italiana: «L’Italia è in ritardo nel fronteggiare il problema dell’inquinamento atmosferico e che deve fare molto di più in termini di misure e interventi strutturali. […] Serve un piano strategico». Piano nazionale che è stato richiesto anche dall’Unione Europea: quello dell’Italia, però, non è stato ancora presentato, malgrado la scadenza del 1° aprile. Manca un progetto integrato, quindi, che parta dalle cause specifiche dell’inquinamento atmosferico e si allarghi a tutta la nazione. Perché se è vero che il “grosso” del problema parte dalla Pianura Padana, è sbagliato credere che sia confinato ad essa.

L’allarme inquinamento sulle Alpi

Ne sanno qualcosa in Valle d’Aosta, dove – dati Arpa alla mano – nel 2017 hanno avuto un incremento del 25% dei PM 10, di riflesso a quelli prodotti nella zona padana. Perché parte del problema dell’inquinamento nella valle del Po, è anche morfologico. La “sacca” in cui è collocato il cuore pulsante dell’economia italiana porta a una stagnazione eccessiva dell’aria inquinata, con conseguenze disastrose.

Inquinamento atmosferico in Pianura Padana
Inquinamento atmosferico in Pianura Padana

Va detto che il progressivo abbandono del carbone nelle zone urbane (specialmente per il riscaldamento) ha permesso di contenere una piaga ben più drammatica (nelle previsioni). Morfologia e carbone però, sono solo il paravento per una regione che, per mantenere la produttività (il 50% del PIL nazionale), fatica ad adeguare industria e agricoltura alle normative richieste dalla Comunità Europea, che ha infatti avviato due procedure contro l’Italia.

E l’inquinamento in Pianura Padana?

Così, mentre l’inquinamento industriale e l’uso di concimi NPK nei campi fanno salire sensibilmente le emissioni nell’aria, ci pensa anche il riscaldamento globale a dare il suo contributo. Due gradi in più o in meno fanno la differenza: esponenziale, se si pensa ai dati registrati dall’Arpa in Lombardia quest’estate, quando l’ozono, grazie ai 40° spesso toccati nella regione, ha superato i valori consentiti, facendo scattare l’allarme. Ma quel che succede nel triangolo Milano-Bergamo-Brescia non è il solo a preoccupare. Se tracciassimo una mappa dell’inquinamento in Italia, scopriremmo realtà meno “note”, ma altrettanto poco salubri, da Padova a Rovigo, senza scordare le zone portuali di Livorno e Crotone, o Torino – che contende a Milano il primo posto come città con più superamenti delle soglie massime di emissioni nel 2017 (ma che, al contrario della città lombarda, si è dotata di più zone verdi). I capoluoghi fuorilegge sono venti, e il danno non si paga solo in termini di salute: ogni decesso, come ricorda tristemente ancora The Lancet, “costa” allo Stato circa 50 mila euro. Soldi che segnano una voce a bilancio pesante: sia dal punto di vista monetario che, ancor peggio, da quello etico e umano.

I giovani che difendono il clima con il climate strike

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