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L'Italia condannata per la strage di bambini in mare. «Una sentenza storica»

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Il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha condannato l’Italia per il naufragio di un barcone che trasportava oltre 400 persone. L’evento, che ebbe luogo a Lampedusa l’11 ottobre 2013, è conosciuto anche come la «strage dei bambini» perché, tra i 268 migranti che quel giorno persero la vita, erano presenti anche 60 minori. Il 2013 rappresentò un anno tremendo sul fronte delle crisi migratorie: la tragedia era stata preceduta, soltanto otto giorni prima, dall'affondamento, avvenuto a poche miglia dal molo di Cala Pisana, di un’imbarcazione libica per il trasporto dei migranti, che provocò 368 morti accertati e circa 20 dispersi: una delle più gravi catastrofi marittime nel Mediterraneo dall'inizio del XXI secolo.

La sentenza del Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite

Il Comitato ha accolto il ricorso presentato da alcuni sopravvissuti a quel terribile naufragio, tre siriani e un palestinese, rappresentati dall’avvocato Andrea Saccucci. Nello specifico, l’organismo delle Nazioni Unite ha stabilito che «l’Italia ha fallito», dato che «avrebbe dovuto tutelare il diritto alla vita di oltre 200 migranti che erano a bordo dell’imbarcazione» e, invece, non ha risposto prontamente alle richieste di soccorso avanzate a più riprese dai migranti. Secondo Saccucci, quella di ieri è «una decisione storica, che per la prima volta mette nero su bianco gli obblighi di soccorso degli stati anche in acque internazionali e in zone Sar di competenza di altri paesi».

Cos’è successo l’11 ottobre del 2013

Il 10 ottobre del 2013, il giorno prima, i quattro ricorrenti arrivarono ​​a Zuwarah, un porto di pescatori della Libia, e si unirono a un nutrito gruppo di fuggitivi siriani. Salirono a bordo di un peschereccio e salparono verso l'una di notte. Dopo poche ore, il barcone fu colpito da una nave battente bandiera berbera e cominciò a incamerare acqua: in quel momento, si trovava a 113 km a sud di Lampedusa e 218 km a sud di Malta, in acque internazionali, ma all’interno della zona di ricerca e soccorso maltese. I migranti chiamarono il numero italiano per le emergenze riferendo le loro coordinate ma, nonostante la situazione di necessità e urgenza, l'operatore italiano si limitò a trasmettergli il numero di telefono del Centro di coordinamento dei soccorsi di Malta, dato che il peschereccio non si trovava in acque sotto la responsabilità italiana. Quando la motovedetta maltese arrivò finalmente sul luogo, l’imbarcazione era già affondata: più di 200 persone a bordo in persero la vita a causa dell’immobilismo istituzionale. Soltanto a quel punto, su sollecitazione di Malta, l’Italia inviò la propria nave, l’Its Libra, che si trovava a solo un’ora circa dalla scena del dramma e avrebbe potuto evitare il drammatico epilogo.

Secondo il Comitato, il ritardo dell’Italia ha determinato la perdita di centinaia di vite

Per i 18 membri indipendenti del Comitato Onu, la circostanza che il peschereccio non si trovasse in zona Sar (acronimo di Search e Rescue, che indica per l’appunto la ricerca e soccorso, tramite personale specializzato e ben equipaggiato, di persone che si trovano in situazioni o ambienti ostili, in mare o terra) di competenza italiana non può giustificare la scelta, da parte del nostro paese, di ritardare i soccorsi. Hélène Tigroudja, membra del comitato, ha dichiarato che «è un caso complesso. L'incidente è avvenuto in acque internazionali all'interno della zona di ricerca e soccorso maltese, ma il luogo era effettivamente più vicino all'Italia e a una delle sue navi militari. Se le autorità italiane avessero diretto immediatamente la loro nave e le barche della guardia costiera dopo la richiesta di soccorso, avrebbero raggiunto la barca al più tardi due ore prima del suo affondamento». Tigroudja ha inoltre sottolineato che «gli Stati sono tenuti, secondo il diritto internazionale del mare, a prendere misure per proteggere la vita di tutti gli individui che si trovano in una situazione di pericolo in mare. Anche se la nave che affondava non si trovava nella zona di ricerca e soccorso dell'Italia, l'autorità italiana aveva il dovere di sostenere la missione di ricerca e soccorso per salvare la vita dei migranti. L'azione ritardata dell'Italia ha avuto un impatto diretto sulla perdita di centinaia di vite».

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