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Finalmente qualcuno parla di Mafia

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Quando la grande crisi Covid-19 sarà alle spalle inizierà un periodo di ricostruzione che, come tutte le ricostruzioni, potrebbe fare la fortuna delle mafie. D’altronde la criminalità organizzata non ha rivali in tema di sfruttamento delle situazioni disperate: nel dopoguerra si diede al contrabbando; dopo i terremoti alla speculazione edilizia; con gli appalti truccati al business della ricostruzione; con la crisi del golfo alla tratta dei migranti; con la caduta del comunismo al traffico d’armi. Ma in Italia, terra delle quattro delle organizzazioni criminali più potenti del mondo, le mafie sono scomparse dal dibattito durante la pandemia.

La nostra curiosità è catturata da altro

A dare l’allarme nei mesi scorsi sono stati in pochi: tra questi Roberto Saviano, il senatore/giornalista Sandro Ruotolo e il magistrato Nicola Gratteri. Tutti hanno parlato in fasce orarie poco considerate e con poca audience. Un timido accenno alle mafie lo ha fatto il nuovo premier Mario Draghi nel primo discorso al Senato. Un accenno peraltro indiretto: Draghi ha parlato in modo sfuggente di “criminalità organizzata”, rompendo però un silenzio istituzionale sul tema che durava da troppo tempo. D’altronde perché parlare di un male che devasta l’umanità, e l’Italia in particolare, se possiamo passare il nostro tempo discutendo del programma cancellato di Barbara d’Urso, di Ferragni che vince l'ambrogino d’oro, di suo marito che litiga con Fabio Volo, o di Sgarbi che si fa cacciare dall’aula, che prende in giro Salvini, che stringe il rosario che al mercato mio padre comprò?

I dati Cerved lo confermano

L'annus horribilis che ha devastato l’economia e le nostre vite è da poco terminato. Il film apocalittico che non avremmo mai voluto vivere si è avverato e dal primo lockdown siamo confinati in casa a fare a botte con l’informazione. Il governo ha garantito l’onnipresenza negli schermi degli italiani. È stato detto e sentito tanto, ma non tutto. Dall’inizio della pandemia c’è stata una grande assente tra i temi centrali della nostra piccola nazione peninsulare: la mafia. Ogni grande depressione o calamità naturale è sempre stata terreno fertile per le mafie. Ponti che cadono e scuole che crollano sono vasi di Pandora che si scoperchiano. Non lo sappiamo e, probabilmente, se c’è stato qualcosa lo sapremo fra anni: sarà così per la crisi del Covid-19? I dati che cominciano ad arrivare in questi giorni confermano che, nel silenzio, le mafie hanno agito eccome. A Napoli nella prima fase del lockdown 663 tra aziende e negozi hanno cambiato proprietari. Si tratta del 2% del totale, un dato molto più alto di quanto accaduto in precedenza. I numeri confermano i timori che avevamo accantonato per abbandonarci all’imponente paura pandemica. Non solo Napoli: a Roma tra febbraio e ottobre oltre 1.200 attività hanno cambiato titolare. Sono cifre elaborate dal gruppo Cerved per Repubblica, i primi numeri che fotografano una situazione che si poteva ipotizzare e che si è puntualmente verificata. L’agenzia Cerved allarga ancora di più il discorso: sono 140mila le aziende italiane a rischio usura. Rispetto allo scorso anno sono raddoppiate. E il sospetto che ad avventarsi su queste attività in difficoltà sia stata la mafia è confermato da Bankitalia, che negli ultimi 6 mesi ha registrato il 10% in più di operazioni bancarie sospette. Non finisce qui. Ad aprile il quotidiano tedesco Die Welt scriveva che la mafia non aspettava altro che i finanziamenti della Comunità Europea. Qualunquismo, certo, su cui è intervenuto Salvini che si è imbufalito postando sui social l’articolo in questione, dicendo che i tedeschi ci offendevano. Ma la questione è molto più ampia dei giochi di campanile. Il rischio che sugli ingenti fondi europei in arrivo si avventi anche la mafia è concreto.

La macchina imprenditoriale criminale

Immaginate di essere un imprenditore di una qualsiasi città d’Italia o d’Europa, che magari da anni evade le tasse e non è mai stato beccato. Con la crisi Covid-19 la vostra attività è sull’orlo del fallimento. Chiaramente non potrete accedere agli aiuti statali, ma avete assoluto bisogno di liquidità. Se anche foste in regola con le tasse, gli aiuti potrebbero arrivare tardi e non essere sufficienti. A chi chiedere questo cash? La risposta è ovvia. Il danno finale sarà doppio, perché oltre a concedere il prestito, chi vi elargirà il prestito vi chiederà di entrare in società. Ed ecco pronta una nuova lavatrice di soldi sporchi della criminalità organizzata. Se questo patto lo stipulano cento imprenditori non fanno altro che creare una holding della mafia. Quelli che noi immaginiamo analfabeti, con la coppola e la lupara, in realtà hanno creato una rete imprenditoriale, con una enorme influenza sul mercato e sul tessuto sociale. Sul mercato, perché se sei la maggioranza decidi i prezzi e le dinamiche. Sul tessuto sociale, perché chi è che ti ha aiutato in tempi di crisi? Il clan. E quindi con chi sarai in debito in futuro? Il magistrato Gratteri ha spiegato che la lenta macchina burocratica rappresenta un limite al controllo da parte dello Stato. Elargire in maniera rapida aiuti finanziari, porre un limite ai tassi d’interesse delle banche e smaltire la burocrazia di queste ultime metterebbe almeno in pari il potere dello Stato con quello delle mafie. L’Interpol ha già steso uno studio ipotetico sull’affare dei vaccini, al quale ha partecipato lo stesso Gratteri. Si ipotizza un mercato nero, un traffico dalla vendita dei prodotti farmaceutici. Ed è l’Interpol a preoccuparsene, non il Ministro degli interni o Don Matteo, perché è un problema di tutti, non solo di qualche città del sud Italia.

Un po’ di sano pessimismo

La domande da porci sono molte. Siamo in un periodo simile a quello in cui Democrazia Cristiana, negli anni dei morti ammazzati per mafia, sosteneva che “la mafia non esiste”? I boss sono rimasti a casa con la mascherina a fare il pane alle noci? Cutolo, storico boss della camorra, dalla sua cella del carcere di Ascoli Piceno, negli anni ‘80 senza cellulare e internet, gestiva contemporaneamente un giro d’affari di oltre 500 miliardi delle vecchie lire, combatteva una guerra tra schieramenti mafiosi e incontrava gli esponenti dei servizi segreti per intercedere con le BR. Cominciamo a capire solo oggi che, mentre eravamo costretti a chiuderci in casa, qualcuno speculava sulle miserie della nostra comunità. Dobbiamo ora chiederci che affari abbiano fatto le mafie in questo periodo. Farlo è un dovere morale e istituzionale.

Raffaele Cutolo, la camorra e i giovani di Napoli

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