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In Europa aumentano i salari, in Italia diminuiscono

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Come sarebbe il nostro Paese se i salari dei lavoratori, negli ultimi trent’anni, fossero triplicati? Per saperlo non dobbiamo viaggiare molto lontano, ci basta prendere il treno e andare in uno dei paesi baltici dell’UE. Miracolo nordico? No, un trend seguito da più o meno tutta l’Eurozona, dall’Est Europa (soprattutto) a quelli Occidentali fino all’area Mediterranea. Certo, gli aumenti di retribuzione non sono gli stessi: all’ex-blocco sovietico, che registra aumenti variabili dal +270% al +100%, si affianca l’area di influenza franco-tedesca con crescite stabili oltre il +30%, e una Mediterranea che varia dal +30,5% della Grecia al +6% della Spagna. E l’Italia? Maglia nera d’Europa. Per l’OCSE, che ha realizzato lo studio, il nostro Paese è l’unico ad aver visto calare i salari dal 1990 a oggi: -2,9%. Una tendenza riconfermata, in dettaglio, dai dati Eurostat usciti in questi giorni: dopo un lieve rialzo dal 2017, i salari italiani sono tornati a calare dal 2020 al 2021.

Perché i salari italiani diminuiscono

In Italia l’aumento dei salari si sarebbe fermato tra il 1995 e il 2010 quando è passato da 37mila USD annui a 42mila USD. Una crescita, comunque, lontanissima da quella di altre nazioni europee occidentali. Poi, nel 2019, il crollo definitivo. Se nel 1990 l’Italia era il settimo Paese europeo (subito dopo la Germania) per salari, nel 2020 era scesa al tredicesimo posto facendosi superare da Francia, Irlanda, Svezia e Spagna. A peggiorare la media italiana, prima di tutto, i 4,3 milioni di lavoratori (su 14 milioni, il 28%) che guadagnano un salario inferiore ai 9€ lordi l’ora e, quindi, al di sotto delle soglie minime di retribuzione oraria. A questi si aggiungono (e si sovrappongono) i 5,2 milioni di precari con un salario medio al di sotto dei 10mila euro annui.

Il crollo dei salari italiani potrebbe essere collegato alla mancata introduzione di un salario minimo garantito (fortemente osteggiato dagli stessi sindacati), presente invece in 21 degli altri paesi del continente. Dell’utilità di questa proposta ferma in Parlamento abbiamo discusso con Simone Fana, autore, con Marta Fana del libro “Basta salari da fame!”: in Italia «quello che deve essere stabilito è un trattamento minimo legale, che nel caso della proposta dell’ex ministra Nunzia Catalfo era di 9€ lordi l’ora». Questo contrasto al lavoro povero: «avrebbe un effetto benefico anche sulla crescita economica del Paese, che è legata a doppio filo ai consumi: l’impoverimento del mondo del lavoro in generale, e dei lavoratori in particolare, porta a consumare meno. L’introduzione di un salario minimo che aumenti i salari bassi porterà, inoltre, le imprese a investire e spingerà verso l’alto la specializzazione produttiva del Paese».

Potete leggere l’intervista integrale a Simone Fana a questo link.

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Articolo del 15/10/2021 aggiornato il 30/3/2022.

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