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Dentro l’occupazione del Liceo Carducci di Milano

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Un gruppo di studenti sta tenendo una riunione improvvisata in cortile. Il Liceo classico Carducci, a una manciata di metri da piazza Loreto a Milano, è al secondo giorno di occupazione ma se inizialmente è andato tutto liscio, ora emergono le prime difficoltà. Il preside Andrea Di Mario non vuole più fare entrare nel complesso scolastico gli ospiti esterni che dovrebbero tenere panel e lezioni, il programma su cui gli occupanti hanno lavorato intensamente giorno e notte rischia di saltare. Si cercano alternative mentre l’ombra copre le loro facce, la giornata volge al termine e l’ansia cresce per non avere ancora le idee chiare su come riorganizzare la scaletta. Qualcuno propone di spostare gli incontri online, qualcun altro di fregarsene, alla fine viene trovata la soluzione: far parlare gli ospiti al di là del cancello, con gli studenti seduti in cortile.

«Carducci occupato»

Lunedì 7 febbraio non è un giorno come gli altri al liceo classico Carducci di Milano. Un gruppo di studenti all’orario di ingresso ha organizzato un picchetto davanti al cancello, i professori vengono bloccati mentre gli alunni riempiono i cortili, le palestre e le classi. Dalle finestre dell’edificio cadono due striscioni lunghi diversi metri, che rendono più chiaro a tutti cosa sta succedendo: CARDUCCI OCCUPATO, recitano.

Non si tratta di un fulmine a ciel sereno. «Ci siamo organizzati nelle scorse settimane e abbiamo identificato una serie di problematiche che partono dalla nostra scuola in quanto istituto e arrivano alla scuola italiana intesa come istituzione», racconta Claudio, uno degli studenti in prima linea nella protesta. Le loro ragioni sono spiegate in un manifesto che presenta uno slogan molto chiaro: La scuola è in crisi ed è necessario un cambiamento, occupiamocene noi. Seguono una serie di rivendicazioni che sono in linea di massima le stesse che hanno caratterizzato altre iniziative simili in giro per l’Italia negli ultimi mesi - solo a Roma da ottobre sono state occupate una sessantina di scuole, lo stesso è successo in altre città come Napoli, Bologna, Torino. Ora tocca a Milano, in quello che ha sempre più le sembianze di un nuovo movimento nazionale studentesco, come non se ne vedevano da un po’.

Il primo giorno di occupazione al Carducci va molto bene: su 1.200 iscritti partecipano in circa 800. Gli studenti riuniti nel cortile chiedono al megafono investimenti e salari più alti per i professori, che la scuola smetta di seguire un modello aziendale tra alternanza scuola-lavoro e “curriculum dello studente”, l’eliminazione delle classi pollaio, provvedimenti per l’edilizia scolastica, una formazione pedagogica per i professori. «Non sentiamo più la scuola come una priorità, non la percepiamo più come nostra», spiega Luca, studente del quinto anno e membro del collettivo Mille Papaveri Rossi. «Molte persone in classe mia o altrove hanno smesso di venire a scuola per i più svariati motivi, chi per motivi psicologici, chi perché non la considera più come parte della sua vita. La sensazione è di essere sempre più lasciati a noi stessi».

La salute mentale degli studenti

Il tema della salute mentale è centrale nell'occupazione del Carducci e basta dare un'occhiata agli appuntamenti in programma e al manifesto delle rivendicazioni per rendersene conto. Nel documento compaiono grafici e statistiche sul disagio che stanno vivendo gli studenti, a partire da un sondaggio interno realizzato nelle scorse settimane. Su un campione di 460 risposte, il 76,1% dichiara di avere avuto attacchi di panico o altre emozioni che non riusciva a gestire durante un’interrogazione, una percentuale che scende al 59,7% in situazioni slegate dalla valutazione. Il 76,5% delle persone riporta poi di sentirsi giudicato piuttosto che valorizzato ed è proprio a partire da questi dati che gli studenti riuniti in assemblea chiedono una revisione del sistema di valutazione, immaginando un modello di scuola dove il prestazionismo sfrenato e il risultato non siano le uniche priorità e ci si focalizzi anche sui processi di apprendimento.

Oltre la metà del campione ritiene inoltre che il servizio psicologico al Carducci sia insufficiente. Il secondo giorno di occupazione verte proprio su questo tema, con l’unico psicologo scolastico e lo psicoterapeuta Carlo Trionfi che prendono parola al cancello di ingresso davanti a una platea di centinaia di ragazzi sparsi tra il cortile e le finestre. L’incontro doveva tenersi in palestra ma dopo un primo giorno di quiete nel rapporto con la dirigenza scolastica la tensione è salita e gli esterni non possono più entrare. Lo stesso cambio di location interessa gli altri appuntamenti in programma, come quello con gli attivisti di Fridays for Future. «Sono emerse difficoltà nel dialogo con l’autorità, in questo caso la presidenza», spiega Emma, una studentessa del quinto anno, «questo rende più complicato per noi veicolare il nostro messaggio: non abbiamo niente contro i professori, non abbiamo niente contro il personale ATA e contro la nostra scuola, stiamo semplicemente unendo le forze per provare a costruire un modello migliore di istruzione, che possa valorizzarci in quanto individui e sia in grado di capirci e ascoltarci».

L’occupazione non si ferma

Dopo le difficoltà gli studenti si sono interrogati se proseguire con l’occupazione o se accontentarsi del messaggio forte già mandato. L’hanno messa ai voti ed è stata confermata la volontà di tutti di non fermarsi, anche perché intanto la protesta ha iniziato ad espandersi in città: un’altra occupazione è partita al liceo Vittorio Veneto, mentre proteste e picchetti sono stati organizzati al Russell e al Boccioni.

Il terzo giorno inizia con qualche tensione fuori ai cancelli: un gruppo di insegnanti se la prende con gli studenti occupanti, che ammorbidiscono così la loro linea e consentono il normale svolgimento delle lezioni, per chi volesse. «Oggi in classe in totale ci saranno state un centinaio di persone, i numeri degli occupanti sono scesi ma restano comunque almeno 400», spiega a fine mattinata Claudio. La mattina in cortile ci sono stati gli incontri con i Sentinelli e con Gazafreestyle, al pomeriggio molti tornano a casa a riposarsi e restano solo i più temerari. «Di notte rimaniamo in una sessantina, dormiamo nelle due palestre e non facciamo entrare nessuno dopo le 20. Chi resta deve pulire e organizzare le aule per il giorno dopo», racconta Luca. «Stanotte è stata dura dormire, è partito l’allarme due volte. Stiamo cercando di capire se si è trattato di un caso».

Mentre parliamo esce una signora, fa l’assistente di laboratorio e preferisce restare anonima. «Mi raccomando, non mollate», incita alcuni degli studenti in prima linea nell’occupazione. È solidale con loro e ricorda l’importanza delle lotte studentesche di quando era giovane, negli anni '60-'70. «Già è difficile per noi superare le conseguenze della pandemia, figuriamoci per questi ragazzi. Lo Stato ha il dovere di essere chiaro con loro e di sostenerli con tutte le risorse che ha in questo momento complicato», chiosa.

Il quarto giorno la protesta si sposta nella succursale di Gorla, dove alcune quinte sono costrette a fare lezione in un edificio fatiscente a fianco di una discarica. Ci sono un centinaio di ragazzi, più o meno tutti quelli delocalizzati lì. Poi le stesse facce si rivedono nel corso della mattinata alla sede centrale del liceo. Stavolta tocca a Non una di meno tenere un dialogo nel cortile centrale, gli studenti si dividono in tre gruppi per discutere con le attiviste di sessualità, femminismo e diritti. Più in là invece da dietro il cancello stanno parlando i volontari di Mutuo soccorso, associazione di promozione sociale che si occupa dei più poveri in città. Gli organizzatori dell’occupazione rimbalzano da una parte all’altra della scuola, cade qualche goccia di pioggia, va trovato subito un piano B, poi smette e l’allarme rientra. Dopo quattro giorni le loro facce iniziano a essere stanche, ma la soddisfazione la fa da padrone. Squilla un telefono, gli occhi della ragazza che risponde si illuminano: le danno la notizia che è stato occupato anche il liceo Beccaria, dall’altra parte della città.

«Sta diventando una cosa grossa e tutto è partito da noi», esulta con i compagni. «Forse è la volta buona che iniziano ad ascoltarci».

Cosa chiedono gli studenti che hanno occupato il liceo Cavour di Roma

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