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Quando le stragi erano Cosa Nostra

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Sono passati trent'anni da quelle bombe che uccisero Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quel terrorismo che avrebbe colpito anche Firenze, Roma e Milano all'epoca era tutto italiano. Eppure sembra quasi che il tempo si sia cristallizzato, che nulla sia cambiato. In parte è vero, il sangue umano è sempre lo stesso. Eppure il terrore, tanto è più forte oggi, tanto riesce a disinnescare l’unico ordigno che non dovremmo mai scollegare: la memoria.

Trent'anni fa il terrorismo era Cosa Nostra

Oggi il problema è il terrorismo internazionale, quasi trenta anni fa, il problema, eravamo proprio noi. Eravamo noi in quanto Cosa Nostra, ma siamo stati sempre noi anche quando si parla di Piazza Fontana e la stazione di Bologna. Eravamo noi i brigatisti, i Libanesi, i Massimo Carminati. Non giravamo col turbante, non pregavamo in ginocchio cinque volte al giorno, ma eravamo noi lo stesso. E se dobbiamo essere nazionalisti, allora che si abbia il coraggio di esserlo fino in fondo, come in un matrimonio, se sposi l’Italia, la sopporti nella buona e nella cattiva sorte.

La strage di Capaci del maggio del ‘92 in combinata con l’assassinio di Salvo Lima nel febbraio dello stesso anno e la morte di Paolo Borsellino in giugno, sono stati solo lo spettacolo pirotecnico serale di una sagra iniziata vent’anni anni prima. La mafia, declinata in tutte le sue forme regionali, miete vittime quotidiane, per tanto che sui quotidiani ne finiscano solo i più illustri. Sono più di mille i morti che hanno segnato la storia di Cosa Nostra, un periodo storico cominciato da una guerra intestina, quella tra Riina e i Corleonesi contro la mafia palermitana di Stefano Bontate, per il controllo della città siciliana, e terminato con l’approdo delle bombe in continente, da quelle esplose a Roma, Milano e Firenze all’ultima, inesplosa, di nuovo a Roma il 31 ottobre 1993.

Commemorazione al memoriale di Giovanni Falcone
Commemorazione al memoriale di Giovanni Falcone

Ce li avevamo in casa, i terroristi

Ce li avevamo in casa, i terroristi, ma nessuno sembra più ricordarsene. Una volta all’anno piangiamo Giovanni Falcone, con le stesse lacrime di coccodrillo con cui piansero i suoi “carnefici” il giorno del funerale, ma appena scocca la mezzanotte, torniamo a fare i conti con la nostra nuova paura. Forse Cosa Nostra è davvero fallita, con l’arresto di Provenzano nel 2003, ma non per questo si è estinto il terrorismo dal nostro paese.

Se metti il cellulare in modalità “silenzioso” durante una riunione, il fatto che i messaggi sconci della tua amante non risuonino per tutta la stanza non vuol dire che non arrivino lo stesso. L’unica differenza, ed è inevitabile in un mondo globalizzato, sono i confini. Perché finché l’Isis ha fatto stragi a casa sua, tutto andava bene. Allo stesso modo però, finché Bernardo Provenzano entrava vestito da poliziotto in un garage palermitano e seccava a colpi di mitra altri mafiosi, nessuno si è mai allarmato. Poi però hanno deciso di alzare il tiro, perché l’obiettivo di chi sparge terrore è quello di alzare più fumo possibile da poter arrivare di nascosto al centro del potere, ed il potere non ha sede solo in viale Lazio a Palermo.

Falcone e Borsellino
Falcone e Borsellino

Non c'era Facebook nel 1982

Bisogna iniziare a far saltare teste illustri, tipo quel generale Dalla Chiesa che il terrorismo conosce bene, ma che nel caldo siciliano è morto come l’ultimo dei pezzenti. Però non c’era Facebook nel 1982, non c’era la possibilità di scrivere “Iusugnu Carlo Alberto” – o Giovanni o Paolo – sulla propria bacheca. Allora si potevano organizzare solo funerali, ma quelli, lo sappiamo, in Italia si riservano a tutti. Il fatto che la mafia abbia smesso di fare il suo show, non vuol necessariamente dire che abbia perso. Anzi.

Siamo concordi nel dire che non esiste confronto tra morto ammazzato e morto ammazzato. Soprattutto, non esiste confronto se si paragonano le morti “innocenti” causate dal terrorismo islamico dal 2001 ad oggi di contro a quelle “pilotate” della mafia o del terrorismo politico – rosso, nero, verde o bianco che sia – durante gli Anni di Piombo. Eppure possiamo notare incoerenza nel nostro Paese, la stessa che possiamo avere noi stessi nel giudicare i caduti, e nel piangerne uno piuttosto che un altro, è palpabile nell’aria, di chi giudica i mandanti di oggi peggiori di quelli di ieri, solo perché non italiani, solo perché così diversi da noi. Perché abbiamo paura allora?

I cento passi contro la mafia di Peppino Impastato

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