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coronavirus

La chiusura dei ristoranti ci costerà cara

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Che ci fosse aria di chiusure e lockdown questo ottobre era ormai chiaro. Anzi, era stato previsto, già da luglio e, nonostante questo, eccoci di nuovo qui alle soglie di un coprifuoco che non si chiama coprifuoco. E mentre il nostro Governo è ancora l’unico, in Occidente, a non avere presentato un Piano Epidemico Nazionale (come d’obbligo per accedere al Recovery Fund), interi settori vengono colpiti una seconda volta. In particolare quello, chiave, della ristorazione che in Italia contava, prima del lockdown, 336.000 imprese e un fatturato di 86 miliardi.

La chiusura dei ristoranti ci costerà cara

Il Governo ha varato l’ultimo di una lunga serie di DPCM che ormai da marzo accompagnano la vita nel Belpaese. L’obiettivo del provvedimento è chiaro: ridurre al minimo le uscite di casa dei cittadini senza stabilire un vero e proprio coprifuoco. Come? Chiudendo anticipatamente (o del tutto) quelle attività che della vita notturna e della socialità pubblica vivono come i cinema e i teatri, ma non solo: anche la ristorazione. La chiusura dei ristoranti alle 18, però, in un paese come l’Italia, ha un costo altissimo. Secondo il rapporto FIPE del 2019 questo settore traina l'intera filiera agroalimentare, creando poi un valore aggiunto superiore ai 46 €. Da sola, la ristorazione vale il 35% di tutta la filiera. Senza contare l’occupazione: 1,2 milioni di addetti di cui il 52% donne e in maggioranza giovani. Un settore che prima del lockdown cresceva ininterrottamente da un decennio: «Negli ultimi 10 anni, nonostante la crisi» dichiarava, nel 2019, Lino Stoppani, presidente del FIPE «gli italiani hanno speso sempre di più per mangiare fuori casa, riducendo al contrario la spesa in casa». Una tendenza naturalmente ribaltata per il 2020. Il crollo dell’attività della ristorazione con la chiusura alle 18 impatterà direttamente sulla vendita di tutti i prodotti: birra, vino, carne, pesce, salumi, frutta e verdura. 740.000 aziende con 3,8 milioni di posti di lavoro.

Come sta il settore agroalimentare italiano

Dopo il lockdown primaverile c’è stato l’impatto durissimo del crollo del turismo, perché l’alimentazione pesa «circa 1/3 sull'intero budget delle vacanze dei turisti per i pasti nei ristoranti ma anche per l'acquisto di souvenir. Ai danni diretti» ha spiegato Coldiretti «si aggiungono poi quelli indiretti perché viene a mancare l'effetto promozionale sui prodotti Made in Italy all'estero, con i turisti stranieri che continuano a ricercarli una volta tornati nei paesi di origine determinando una spinta all'export nazionale». E ora la chiusura alle 18 dei ristoranti. «Nonostante quello che si pensa» ci ha spiegato Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti «che l’alimentare se l’è cavata bene, questo è vero per il consumo al dettaglio dei supermercati, ma non per quello extradomestico (la ristorazione) che vale per un terzo del totale. Parliamo di un canale da 80 miliardi € tra ristoranti, bar, mense che è venuto a mancare anche all’estero. Il fatto, poi, che ci sia lo smart working ha cambiato le abitudini alimentari delle persone: se uno va a lavorare mangia in una maniera diversa. Abbiamo visto che durante il lockdown è andato in crisi il settore di prodotti come insalata in busta e zuppe pronte, tutti i prodotti che risultano comodi per chi mangia in ufficio». Per non parlare di bar, track food e ristorazione che, già costretti a chiudere prima di sera, vedranno nuovamente diminuire anche gli introiti del pranzo.

A rischio un terzo della spesa alimentare degli italiani

La rivoluzione delle abitudini e la chiusura serale ha messo a rischio un terzo della spesa alimentare degli italiani, quella appunto extradomestica: «Sono molte le realtà che trovano sostenibilità economica solo grazie al lavoro serale che ora è stato vietato dal nuovo Decreto» sottolinea Coldiretti. Non solo ristoranti e trattorie, ma anche gli agriturismi, circa 24.000 in tutta la penisola, luoghi dalla capienza contenuta e con ampi spazi all’aperto dov’è facile garantire la sicurezza e, allo stesso tempo, alleggerire gli assembramenti nelle città. Gli spazi agricoli sono stati, in effetti, tra i più sicuri nonostante la produzione mai interrotta: delle 54.128 denunce per infortunio da Covid solo lo 0,2% ha riguardato le 740.000 aziende del settore. Insomma, per la ristorazione un colpo durissimo che toglierà dalle tasche di piccoli e grandi imprenditori, alla guida, in gran parte, di aziende familiari, almeno il 65% del fatturato, ricadendo inevitabilmente sulla tenuta sociale del paese. Per questo motivo il Governo sta andando verso un decreto ristori che supporti le famiglie con 5 miliardi € tra rinnovo Cig e finanziamenti a fondo perduto. Una goccia in un mare di debiti.

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