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La cannabis può curare i bambini malati di epilessia grave

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La cannabis è più forte dell’epilessia. Soprattutto in età pediatrica. Una scoperta, questa, che potrebbe rivoluzionare la vita di migliaia di pazienti in Italia, ma che incontra non pochi ostacoli nella distribuzione del prodotto, con un'offerta che non soddisfa la domanda. Problematiche vecchie e nuove, alle quali il ministero della Salute sembra non voler dare soluzioni. Più per tematiche legate alla burocrazia che per bigottismo. Ne abbiamo discusso con Alessandro Pastorino, ceo di FL Group, e con il dottor Marco Bertolotto, direttore del Centro Terapia del Dolore e Cure Palliative ASL2Liguria.

Epilessia infantile e cannabis terapeutica

La cannabis terapeutica è un farmaco a tutti gli effetti, noto per essere utilizzato nella terapia del dolore. Quello che in pochi sanno è che il prodotto è valido anche come antiepilettico in pediatria, con bambini che vanno dai 3 anni in su. E così, da circa quindici anni, il dottor Marco Bertolotto utilizza la cannabis terapeutica per la cura dell’epilessia infantile. «Oggi la ricerca ci ha portato a dire che possiamo usare i cannabinoidi, soprattutto il CBD, nelle epilessie farmacoresistenti che sono circa il 30% delle epilessie e che esordiscono in età pediatrica», spiega a VD Bertolotto. «Consideriamo che si tratta di bambini che hanno dalle dieci alle quindici crisi al giorno. Ridurle a una o due alla settimana è già un traguardo». Dal punto di vista scientifico, però, ancora non si sa come la cannabis riesca a ridurre il numero di attacchi.

«Per questi bambini vale sempre la pena provare. Per loro non esiste altra soluzione. Certo, è vero che nello sviluppo delle sinapsi la cannabis è dannosa, ma è anche vero che le sinapsi di questi bambini sono già compromesse dalle crisi a cui vanno incontro. È un mondo che si sta aprendo: la verità resta che conosciamo molto poco del cervello in generale». Ma il vero problema è che manca la cannabis. «Il ministero della Salute considera questi pazienti di serie Z. Il fatto che alcuni non possono curarsi non interessa. È un dramma perché ci sono persone che non possono continuare le cure. E chiedono a noi medici come fare per reperire la cannabis». E in molti sono costretti a comprarsela sotto i portici o a coltivarsela nell’illegalità.

La cannabis terapeutica e il suo mercato

«La reperibilità della cannabis è un problema tutto italiano», racconta a VD Alessandro Pastorino di FL Group. «A volte accade persino in azienda di ricevere le telefonate dei pazienti che dicono che non facciamo bene il nostro lavoro, che spesso sono costretti a rivolgersi agli spacciatori. Il fabbisogno del nostro Paese sarebbe di due tonnellate, ma noi riusciamo ad arrivare a un massimo di una tonnellata». Ma la storia parte da lontano. È stato nel primo decennio degli anni Duemila, infatti, che la cannabis è arrivata nel nostro Paese, come materia prima da lavorare in farmacia, grazie alle battaglie dei pazienti. «Da qui è partita la possibilità per aziende come la nostra di importarla, sotto il controllo del Ministero della Salute. In Italia ci sono in tutto altre cinque aziende che importano la cannabis, e che hanno l’onere e la possibilità di programmare le importazioni in base a quote stabilite dal ministero su base annua».

«Ma si tratta di quote basate sui consumi storici, che non tengono conto di quanto questo mercato sia aumentato esponenzialmente. Un mercato come l’Italia che è partito per primo anche legiferando in modo puntuale, si è fatto superare dalla Germania, che si è resa conto di come il riscontro terapeutico di questa sostanza si fosse fatto più importante». In Italia, il vero dramma è che l’approvvigionamento di infiorescenze proviene da una sola azienda olandese per accordi vecchi, che ora determinano una mancanza di prodotto su tutto il sistema nazionale. Un’apertura all’import da altri Paesi risolverebbe questa criticità, ci sono diversi produttori con la medesima certificazione del fornitore olandese e con la stessa qualità. Inoltre aziende private potrebbero introdurre sul mercato dei prodotti semilavorati e rendere meno difficoltosa la distribuzione, che a oggi avviene attraverso complesse e costose preparazioni galeniche di poche farmacie in Italia. «Abbiamo un inevaso altissimo. Ecco perché le regole di noi importatori devono essere cambiate, così come quelle della distribuzione», dice Pastorino. «Il tutto si traduce in una discontinuità terapeutica per il paziente». Insomma, le aziende e la scienza sono pronte a giocare la loro parte. Al ministro, l’ultima parola.

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